SALUZZO (Cn). Museo Civico Casa Cavassa, pilone votivo, affresco con sant’Antonio abate

Via S. Giovanni, 5 – 12037 Saluzzo. Tel. e Fax 0175/41455

 Casa Cavassa è sede del Museo Civico della città di Saluzzo. Anticamente fu la dimora dei marchesi di Saluzzo ed in seguito della famiglia Cavassa, originaria di Carmagnola i cui membri furono Vicari Generali del Marchese di Saluzzo.
Il motto della famiglia Cavassa, riscontrabile in numerosi affreschi all’interno della casa-museo, era: “DROIT QUOY (talvolta corretto in QUOI) QUIL SOIT” (traducibile in Giustizia in qualunque modo).
È uno degli edifici più significativi del Rinascimento saluzzese e ospita arredi in stile (mobili in parte rinascimentali, in parte ottocenteschi) appartenuti a Silvio Pellico.
Fu donata dal Marchese Ludovico II a Galeazzo Cavassa, invitato a trasferirsi nel Marchesato da Carmagnola. La rapida ascesa sociale alla corte dei Marchesi di Saluzzo nel secolo XV vedrà nominare nel 1464 Galeazzo Cavassa Vicario Generale del Marchese, carica che passerà a suo figlio Francesco, il quale porterà la residenza al suo massimo splendore.
Acquistata nel 1883 da Emanuele Tapparelli D’Azeglio, diplomatico, filantropo, cultore e collezionista d’arte, Casa Cavassa venne restaurata secondo i princìpi ottocenteschi del “completamento in stile”, eliminando tutto ciò che non risaliva al periodo rinascimentale ed inserendo oggetti ed opere d’antiquariato realizzate tra il XV e il XVI secolo.
Nel 1888, per lascito testamentario, l’edificio venne donato da Tapparelli al Comune di Saluzzo perché diventi un museo e nel 1890 Casa Cavassa aprì le proprie porte al pubblico.
A testimoniare il fasto dell’edificio all’inizio del sec. XVI, ancora oggi si ammirano il portale marmoreo ed portone ligneo scolpito, databili tra il 1518 e il 1528 ed attribuiti allo scultore lombardo Matteo Sanmicheli. Una delle pareti del loggiato interno, inoltre, è decorata con una fascia dipinta a fresco (sec. XVI), raffigurante i segni dello zodiaco, mentre al primo piano si conservano gli affreschi à grisaille, opera di Hans Clemer, pittore fiammingo attivo nel Marchesato dal 1496 al 1511. Si tratta di sette riquadri che raffigurano alcune imprese di Ercole, realizzati tra il 1506 ed il 1511.
L’arredamento, riconducibile alla collezione del marchese Tapparelli, evoca l’aspetto tipico della sala da pranzo di un palazzo rinascimentale. Si segnalano: una credenza con alzata (fine sec. XIX) con pannelli antichi (inizio sec. XVI); l’acquamanile, realizzato nell’Ottocento e costituito da un serbatoio a forma di castello merlato (sec. XIX) a cui si aggiungono un catino in rame battuto e sbalzato (sec. XV) e un supporto in ferro a tre piedi (sec. XIX); coppia di alari in ferro battuto, sormontati da scaldavivande (sec. XV); catena ad anelli tortili con gancio portapaioli, nel vano del catino; tavolo in noce con piano ottocentesco, appoggiato a tre supporti con colonnine tornite (sec. XVII).

Alle pareti sono esposti affreschi del sec. XV provenienti da chiese e piloni del territorio saluzzese, recuperati dal restauratore Giuseppe Steffanoni di Bergamo su commissione del marchese Tapparelli.
Al centro della sala è collocato il pilone votivo proveniente dalla Cappella Norina (Regione Paschere – Saluzzo) e risalente all’inizio del sec. XVI.
Il pilone venne acquisito dal Comune di Saluzzo nell’agosto 1910 e conservato presso il Museo.

Le immagini rappresentano un sant’Antonio Abate, un san Sebastiano ed altri due santi non identificati.

 

Bibliografia:
 –  Il Museo Civico di Casa Cavassa a Saluzzo. Guida alla visita. Storia e protagonisti, a cura di Giancarla Bertero – Giovanni Carità, 1996 Savigliano: € 12.50
Cent’anni di Casa Cavassa, a cura di A.M. Ruata Tetti, Torino 1985, Ed. Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte: € 5
Museo Civico Casa Cavassa a Saluzzo, a cura di Elena Pianea e Daniela Grande, 2000 Saluzzo: € 2.50
Tesori del Piemonte, a cura di Lea Carla Antonioletti Torino 1998: € 14.50.

Fruibilità:
https://comune.saluzzo.cn.it/monumento/casa-cavassa-10/

Rilevatore: Valter Bonello

Data ultima verifica sul campo: 29 aprile 2012

VIRLE PIEMONTE (To). Chiesetta di Sant’Antonio abate

La Chiesetta dedicata a Sant’Antonio abate si trova alle confluenza tra le strade provinciali n. 138 (Buriasco – Poirino), 141 (None – Pancalieri) e 148 (Vigone – Virle). Via Carlo Alberto, 47
https://goo.gl/maps/KDBAF2iCRZNrangz6
 

Edificio ad una sola navata, con linee semplici e probabilmente databile all’inizio del XVII secolo.

L’esistenza della cappella votiva, si perde nella notte dei tempi: dagli atti parrocchiali essa esisteva sicuramente nell’anno 1750 come risulta dalla relazione acclusa alla visita pastorale, avvenuta in quell’anno, ove il Parroco di allora, Don Michele Maria Molina, dice “… vi è ancora una Cappella rustica e coperta a coppi, senza porta, in cui vi entrano le bestie, e fansi immondeze dovendo questa essere sotto il titolo di S. Antonio di Padova, dal momento che l’Antica nel di cui Luogo si è riedificata questa che era sotto il med.mo titolo…”
Prosegue asserendo che si trattava di una cappella privata di proprietà dei Sigg. Ghio, virlesi, mugnai in Moncalieri; più volte invitati a restaurare la chiesa avevano sempre promesso di farlo senza però onorare l’impegno.
Sempre su una ulteriore relazione, in occasione della successiva visita pastorale nel 1825, don Francesco Ternavasio scrive: “… la cappella di Sant’Antonio comprata e riparata dalle oblazioni dei fedeli…” segue una descrizione che si avvicina a quella che è la situazione attuale; si presume quindi che nel lasso di tempo intercorso la chiesetta sia stata acquistata dalla comunità Virlese e ristrutturata allo stato attuale oltre ad averla dedicata a S. Antonio abate.
Da ciò che è dato a vedere e dalle caratteristiche costruttive intrinseche possiamo far risalire la prima edificazione alla metà del 17esimo secolo, come tantissime chiese coeve erette dalle popolazioni a scioglimento di ex voto fatti in occasione della pestilenza abbattutasi sul nord Italia verso il 1630 (di Manzoniana memoria…) e per la quale ci si rivolse, in preghiera, verso quei Santi che sono considerati particolari intercessori per specifiche circostanze (S. Antonio abate e da Padova, S. Michele (in fœderis), S. Rocco…..).
Della chiesa si è ritrovata una foto antecedente al 1918 (mancano gli alambicchi della famiglia Dellacroce costruiti nell’anno citato ed abbattuti a metà degli anni ’80), l’aspetto del frontale è più curato ed i Santi nei riquadri laterali sono diversi dagli attuali (sicuramente uno era S. Agostino), il dipinto centrale, sull’entrata, rappresentava Sant’Antonio abate in preghiera davanti alla Vergine: molto probabilmente era uguale al quadro che campeggia sull’altare interno.
Purtroppo il decorrere del tempo ed, ammettiamolo, l’incuria dell’uomo hanno minato l’aspetto sia interno, (compreso lo spoglio degli ex voto di non lontana memoria), che esterno per cui la comunità Virlese ritenne, negli ultimi anni, doveroso intervenire nel recupero del fabbricato che vuole anche essere un rinverdimento di ciò che esso rappresenta.
Una cronaca virlese dell’800 ricorda che al santo era dedicata la vivace festa del 17 gennaio: la sera della vigilia si accendeva il fuoco di fascine ponendolo ad ovest della cappella.
Il fuoco era uno dei simboli del Santo, che avrebbe visitato l’inferno vincendo ed incatenando il demonio come un cagnolino: inoltre era il protettore degli animali da cortile, in particolare il maiale, il cui grasso serviva a lenire i dolori conseguenti alle lesione neurologiche dell’ Herpes Zoster (il fuoco di Sant’Antonio) e dell’ Ergotismo Canceroso (il cosiddetto “fuoco sacro” portato da una contaminazione del pane di segale con un fungo tossico).
Sulla facciata, come si vede nella foto di inizio secolo scorso (cfr. immagini) erano raffigurati san Luigi Gonzaga e un altro santo non meglio specificato: si dovrebbe però all’iniziativa recente la presenza di altre due pitture che ritraggono in modo alquanto rozzo san Bartolomeo e san Malchiorre, nomi onomastici assai frequenti tra la popolazione Virlese.
Al centro, dentro ad un ovale, vi é un affresco di buona fattura che raffigura il santo titolare attorniato dai vari simboli a lui attribuiti (il maiale, la campanella, il bastone a forma di Tau).

Cronologia: XVIII sec.

Bibliografia:
 – Paolo Castagno “Virle Storia ed Arte“, Stultifera Navis 2000

Rilevatore: Roberto Polidori

Data ultima verifica sul campo: 10 aprile 2012

COAZZE (To), fraz. Forno, loc. Sellery. Pilone della Beata Vergine del Carmine con raffigurazione di sant’Antonio abate.

Pilone della Beata Vergine del Carmine – pista a traffico limitato del Sellery.
Dai laghi di Avigliana ci si dirige verso Giaveno, poi si seguono le indicazioni per Coazze; dopo circa quattro chilometri si imbocca a sinistra la strada in direzione Forno – Pian Neiretto, la si segue per circa 9 chilometri fino ad un tornante, da cui si stacca la pista agro-silvo-pastorale del Sellery (segnalata da una bacheca illustrativa dell’ambiente), dove si parcheggia, ad una quota di circa m 1150. Carte dell’Istituto Geografico Centrale n. 1 Torino Pinerolo e Bassa Val di Susa, e n. 17 Valli di Susa Chisone e Germanasca.
Il pilone si trova sul bordo della pista, ad una quota di m 1200, poco oltre le baite delle Prese Dragone, tutte diroccate tranne una, a circa un quarto d’ora di cammino dal parcheggio.

 

Il pilone, di dimensioni limitate, sui lati esterni e sul retro è decorato con una grande croce. Nel vano interno sono affrescati al centro la Beata Vergine del Carmine, sulla parete destra S. Giuseppe, e sulla parete sinistra S. Antonio Abate.
Il santo è raffigurato in atto benedicente, sulla soglia di una caverna ed in un paesaggio montano, ed è caratterizzato da due dei simboli che gli sono attribuiti, il bastone e la campanella. Diversamente dalle immagini tradizionali, non è accompagnato solamente dal maialino, ma anche da altri numerosi animali, a ben rappresentare il suo ruolo di loro protettore.
Raffigurazioni di questo tipo sono frequenti nei santini e nelle stampe risalenti in genere al secolo scorso o all’Ottocento, diffuse soprattutto nelle zone agricole e montane.

 

Note storiche:
Il pilone è in buone condizioni grazie a due restauri che si sono susseguiti a distanza di anni.
Il primo è datato al 1955 ed è ricordato da un’iscrizione posta sulla parete esterna (“Rinnovato 1955 Tuoi Fedeli”); il secondo, risalente al 2001, è segnalato da una targa ed è stato eseguito per volontà delle famiglie proprietarie delle prese Dragone, che hanno il patronato del pilone, ed a cura dell’Ecomuseo Regionale Alta Valsangone  e del comune di Coazze.

Non esistono indicazioni che permettano di risalire alla data di costruzione.

 

Bibliografia:
per uno studio sulla figura del santo si veda L. FENELLI, Dall’eremo alla stalla. Storia di Sant’Antonio Abate e del suo culto, Laterza Bari 2011;
per una immagine di Sant’Antonio risalente al XX secolo, analoga a quella del pilone, ibidem fig. 2.
Per informazioni sull’itinerario e notizie di carattere storico e ambientale: C. ROLANDO, Escursioni in Val Sangone. Sui sentieri partigiani alla scoperta di Verdelandia, Susalibri, Sant’Ambrogio di Torino 2007, pagg. 51-62.

Note:
Sulla pista del Sellery, a quota 1400, si entra nel parco regionale Orsiera Rocciavrè; poco dopo una deviazione conduce in breve alla ex palazzina di caccia Sertorio, teatro di scontri tra partigiani e nazi-fascisti nel 1944-45, ora sede di un rifugio escursionistico e di un osservatorio ambientale.
Proseguendo per la pista, si incontrano gli alpeggi Sellery a valle (m 1545) e Sellery a monte (m 1750), raggiungibile anche mediante sentieri segnalati, che permettono di abbreviare il tragitto.
Superato questo alpeggio, un sentiero conduce al colle della Roussa. Tra i due alpeggi, su di un rilievo, sono visibili i resti dei muri perimetrali del fortino San Maurizio, eretto per volontà di Carlo Emanuele I di Savoia e distrutto dai Francesi nel 1630.
Lungo il percorso sono collocati alcuni cartelli che illustrano le caratteristiche della fauna locale.

Fruibilità:
Il pilone è facilmente visibile per chi percorre l’itinerario del Sellery, che culmina con il colle la Roussa (m 2017), tra la val Sangone e la val Chisone.

Rilevatore: M. Gabriella Longhetti

Data ultima verifica sul campo: 25 marzo 2012

NARDO’ (LE). Cripta di Sant’Antonio abate

Contrada Castelli-Arene
https://goo.gl/maps/5GVGiCcDPWffMAoG9

 

Nei pressi della masseria Castelli Arene, a 2 Km da Nardò, sulla strada provinciale per Lecce, in un campo isolato e incolto si trova la cripta ipogea di Sant’ Antonio abate in stato di totale incuria ed abbandono.

La superfice calpestabile è di circa 20 mq. a poco più di 2 mt. sotto il livello del terreno ed un’altezza media di 1,75 m.
All’interno sono visibili 16 affreschi dai colori sbiaditi e difficilmente leggibili la cui realizzazione può risalire alla fine del XIII secolo.
Sono rappresentati: san Francesco, l’Annunciazione, sant’Antonio abate, la Vergine con Bambino, Cristo, Crocifisso, e i santi Pietro, Nicola, Giorgio, Demetrio,  Giovanni Battista; un trittico di santi anonimi tutti in posizione frontale, altre due scene con santi anonimi forse l’Arcangelo o Santa Margherita e forse santa Marta, e la scena dei santi cavalieri.

Note storiche:
Conquistata dai Romani nel 269 a. C., con il suo porto Emporium Nauna (probabilmente l’attuale S. Maria al Bagno), fu attraversata dalla famosa Via Traiana, che costeggiava tutta la riviera jonica.
Dopo la caduta dell’impero romano, Nardò passò sotto il dominio dei Bizantini e, per un brevissimo periodo, dei Longobardi.
Con i Bizantini si ebbe l’incremento della presenza dei monaci Basiliani, che diffusero, tra l’altro, una nuova tipologia costruttiva, cioè la costruzione in grotte. Infatti numerosi furono i villaggi rupestri, come quello in contrada Le Tagliate, e le cripte, come quella di S. Antonio abate.
Questa cripta ebbe origine nel periodo in cui a Nardò si trovavano i monaci di rito greco, seguaci di San Basilio.
Tra il IV e il VI secolo, si verificarono vicende civili e religiose favorevoli alla migrazione monastica e all’insediamento nelle regioni del Meridione d’Italia. Da un lato la stabilità politica, conseguente all’ultima ellenizzazione avvenuta alla fine de IX sec., e dall’altro lato le persecuzioni a causa del fanatismo mussulmano prima, e delle lotte iconoclastiche poi, che costrinsero i monaci ad abbandonare la Siria, la Cappadocia e l’Egitto.

 

Note:
Il 17 gennaio di ogni anno, si rinnova la tradizione della “focara” a cura dell’Associazione Artt, che ha l’obiettivo di recuperare e tutelare la cripta.
In mattinata sono previste visite guidate per le scolaresche.
Nel pomeriggio, viene riproposto il tradizionale pellegrinaggio alla cripta, la veglia di preghiera e la proclamazione del Vangelo in lingua greca.
Segue l’accensione della focara e si possono anche degustare pettole e vino.
Poi altre le visite guidate alla cripta con proiezione di un video dal titolo “salviamo la cripta”.

Rilevatore: Ersilio Teifreto

Data ultima verifica sul campo: 17/01/2012

MANZANO (Ud), fraz. Manzinello. Chiesa di Santa Margherita, dipinto di sant’Antonio abate

La chiesa di Manzinello venne fondata prima del 1400 e dedicata a Santa Margherita Vergine e Martire: al suo servizio era un cappellano curato sotto la giurisdizione della parrocchia di Pavia di Udine.

Della primitiva chiesa si sa che un certo Antonio de’Tirolo  con Simone di Bergamo intagliò ed indorò un’ancona con i Santi Margherita, Pietro e Stefano e sopra la Vergine tra i santi Rocco e Sebastiano.
Ora, l’ancona non esiste più e l’antica chiesa venne distrutta.
L’attuale chiesa, con a lato il campanile porta, sulla facciata, oltre a due lapidi mortuarie, riporta la seguente iscrizione “Si post munera gratiea senescunt unuque – Cur gratus gratissimi non ponet – Animi monumenta – Ponit – Et ne ulla temporis senescant jniuria – In lapide – P. Hieronymus Pathianus P.P.M. et S. – MDCLXXXIV”.

Inoltre sopra la porta della parte interna esiste la seguente iscrizione “D.O.M. Dedicatio Huius Ecclesiae Celebratus – Dominica Post Festum – SS.MM Hermaghorae et Fortunati“.
Il coro ha stalli di un certo pregio.

L’altare di Sant’Antonio è stato donato dalla signorina Antonietta Morelli de Rossi; il Santo è raffigurato con un bastone che porta una vistosa T, suo attributo iconografico; il libro indica la forza insita nelle Sacre Scritture per vincere le tentazioni.
In questo caso il Santo è sprovvisto di campanella, in compenso il maiale ne porta una vistosa.
Il maialino cintato compare in dipinti coevi, non necessariamente col Santo.

Una tela, che dovrebbe provenire dalla chiesa soppressa dei Filippini di Udine, rappresenta San Filippo Neri in adorazione con un libro aperto in mano su cui è scritto “Una sola regola: la carità – 1863”.

 

Fruibilità:
Orario Sante Messe: Feriali, mercoledì ore 19.00; festivi ore 9.30.

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 05/02/2012