COLLOCAZIONE IGNOTA. Tavola “Madonna col Bambino e santi” con s. Antonio abate di Lippo di Andrea, 1420 circa

Tempera su tavola, fondo oro, 70,5 x 47,6 cm
Madonna col Bambino fra i santi Antonio abate, Barbara, Margherita d’Antiochia e Giuliano l’Ospedaliere
Opera del pittore fiorentino Lippo di Andrea (c. 1370 – post 1447).
In vendita presso la Galleria Salomon nel 2020.

I sigilli in cera sul retro della tavola indicano che è entrata nelle collezioni dell’Accademia di Belle Arti di Parma al tempo di Maria Luigia, duchessa di Parma, prima di essere venduta all’estero (prima del 1869, come risulta dal timbro della ‘Dogana di Dazio Grande Colli’ di Milano). Precedentemente era ad Arbury Hall vicino a Coventry, sede dei Baronets Newdigate, il pannello è andato alla Spink Gallery di Londra, prima di essere venduto a New York nel 1970.

Sant’Antonio è in piedi a sinistra nella consueta iconografia: saio scuro, mantello libro nella mano sinistra e bastone a tau nella destra.

La scelta dei Santi è indicativa della destinazione dell’opera, che molto probabilmente era un piccolo altare di una chiesa parrocchiale o di un oratorio privato o di una confraternita perché Margherita e Barbara erano entrambe legate al culto popolare. Le figure di s. Antonio abate e l’elegante san Giuliano, che fece voto di povertà e carità per espiare i peccati di parricidio e matricidio, allude anche all’importanza – in quel specifico momento storico, e soprattutto in un contesto fiorentino – del ruolo sociale svolto dagli istituti di beneficenza come gli Antoniani.

«In occasione dell’ultima vendita, presso le Parke Bernet Galleries, veniva proposta, su suggerimento di Federico Zeri, l’attribuzione all’autore all’epoca conosciuto come lo Pseudo Ambrogio di Baldese: il dibattito inerente l’identità di questo supposto anonimo fiorentino è una vexata quaestio che ha impegnato a lungo i più grandi storici dell’arte del Novecento. In un famoso contributo apparso sul Burlington Magazine nel 1909, Osvald Sirén aveva pubblicato un piccolo nucleo di dipinti inediti nelle collezioni americane, proponendone l’attribuzione ad Ambrogio di Baldese, artista questo documentato a Firenze a partire dal 1372. Merito di Richard Offner, Raimond Van Marle e Georg Pudelko è stato quello di riconoscere nello stile delle suddette opere un carattere attinente piuttosto alla stagione del tardogotico che non a quella degli ultimi decenni del Trecento in Toscana. Van Marle quindi coniava il nome convenzionale dello ‘Pseudo Ambrogio’, cui assegnare il catalogo di dipinti già raccolti da Sirén, catalogo che, nel corso dei decenni, veniva accresciuto e definito da Pudelko, Federico Zeri e Carlo Volpe. Nel 1971, sulla base della prossimità di alcune opere già assegnate allo Pseudo-Ambrogio con una Madonna firmata “Ventura Mori” e conservata nella Pinacoteca Nazionale di Siena, Enzo Carli ipotizzava l’identificazione dell’anonimo nel pittore fiorentino Ventura di Moro. …. Tale identificazione veniva a cadere in seguito allo studio, da parte di Serena Padovani nel 1979, dei documenti relativi alla decorazione della cappella Nerli in Santa Maria del Carmine a Firenze, decorazione già riferita appunto allo Pseudo Ambrogio e che invece era attestata dalle fonti come opera del fiorentino Lippo di Andrea. Nel catalogo dell’anonimo quindi erano venute a confluire opere di due artisti diversi:  il nucleo più cospicuo era assegnabile a Lippo, allievo di Agnolo Gaddi e attivo a Firenze a partire dal 1395, pittore dunque che partecipa a pieno titolo alla temperie tardogotica; un numero inferiore di opere tuttavia era da riferirsi a Ventura di Moro, maestro di una generazione più giovane, attivo sempre a Firenze ma a partire dal 1420 circa e formato sostanzialmente sui modelli di Masolino da Panicale. L’individuazione delle personalità ha condotto la storiografia negli ultimi anni a definire bene il profilo di ciascuno dei due artisti, la cui maniera trova un punto di contatto nelle opere realizzate da entrambi del terzo decennio del Quattrocento, ma che rimangono altresì diversi e agevolmente individuabili nelle loro rispettive prerogative formali.»
Questa tavola fa quindi parte del corpus pittorico attribuito a Lippo d’Andrea, attribuzione convincentemente confermata dal confronto delle figure con quelle del polittico della Yale University Art Gallery di New Haven, vedi scheda.  Il paragone è estremamente convincente perché il polittico di Yale è proprio l’opera che aveva inizialmente spinto Osvald Sirén a intraprendere lo studio che avrebbe portato alla creazione del nuovo gruppo stilistico.
«Nei primi due decenni del Quattrocento Lippo di Andrea cercò la sua ispirazione prima nello stile di Gherardo Starnina e poi soprattutto in quelli di Lorenzo Monaco e Lorenzo Ghiberti. È intorno al 1420 – data incisa sulla base del polittico di Yale e che possiamo ragionevolmente prendere come riferimento cogente per questa tavola – che Lippo raggiunge l’apice del suo percorso artistico. In questa fase il pittore si presenta come un pittore consapevolmente moderno in cui il ricordo della tradizione tardo trecentesca – testimonia il profilo di s. Margherita, che si rifà all’opera di Agnolo Gaddi – si unisce ad un trattamento prospettico nella disposizione delle figure particolarmente significativo se si considera il clima culturale che si andava affermando a Firenze in quegli anni. Lippo sembra partecipare di questo nuovo clima, che è plausibile suggerire debba aver raccolto da un maestro vicino al suo stesso sentimento, come Masolino da Panicale.»

 

Bibliografia
E. Carli, Chi è lo “Pseudo Ambrogio di Baldese”, in Studi di storia dell’arte inonore di Valerio Mariani, Napoli 1972, pp. 109-112.

S. Padovani, in Tesori d’arte antica a San Miniato, a cura di P. Torriti, Genova1979, pp. 55-57

Immagine e parte del testo da:
https://www.salamongallery.com/dipinti_opera.php?codice=170