LEVANTO (SP). Ruderi dell’eremo di Sant’Antonio abate del Mesco

I ruderi si trovano ai confini amministrativi tra i comuni di Levanto e di Monterosso al Mare, ma il sito ricade nel territorio levantese. All’interno del Parco delle Cinque Terre.
L’eremo si può raggiungere, a piedi, da Monterosso col sentiero SVA 590. Da dietro la Statua del Gigante, il sentiero sale, si percorre la strada asfaltata poi, nei pressi dell’Albergo “Suisse Bellevue”, due curve prima di raggiungere l’hotel, alla destra, si trovano degli scalini e si prosegue sul sentiero tra una rigogliosa macchia mediterranea.. Durata 30/35 minuti circa, difficoltà semplice.
Oppure, se si parte da Levanto, percorrere Via Mesco per circa due chilometri (5 minuti in auto) sino a raggiungere l’hotel “La Giada del Mesco”. Proprio dall’hotel si trova l’inizio del percorso. Durata 1 ora e 15 minuti circa, difficoltà semplice/media.
https://goo.gl/maps/hvnkNzBcRW5vEtbC7

 

Si tratta di uno degli edifici più antichi della zona, una chiesa con romitorio, situato a 311 metri sul mare e immerso in una lecceta. Il panorama è spettacolare: lo sguardo può spaziare dal promontorio di Portofino, fino a tutta la costa delle Cinque Terre e poi oltre all’isola Palmaria.

Una prima notizia dell’antico edificio medievale risale al 1380 anche se si presuppone che la chiesa, e l’annesso romitorio, possano essere stati edificati in un periodo molto più antico, forse già nell’XI secolo. Proprio a questo secolo, così come hanno attestato diversi studi sugli strati della struttura, pare risalga il suo primo impianto, mentre al XV secolo risalirebbe il secondo e definitivo ampliamento con pietra lavorata.
Il complesso del Mesco fu abbandonato nel 1610 con il trasferimento dei religiosi nel nuovo complesso monastico degli Agostiniani di Levanto (che lì rimasero sino alla dominazione napoleonica, quando la struttura fu alienata alla municipalità e subì vari e diversi utilizzi e ristrutturazioni.)

Della chiesa più antica, di piccole dimensioni, restano un muro perimetrale, l’abside e una parte della volta. Accanto sopravvivono i pochi ruderi del convento.
I resti ancora leggibili sono quelli della chiesa con aula rettangolare e abside semicircolare orientata e di un secondo vano, con terminazione absidale quadrangolare, posto a sud del vano principale e ad esso originariamente collegato mediante un’ampia comunicazione. L’impianto planimetrico risulta essere bipartito. Si accedeva alla chiesa da un ingresso delimitato da un arco ogivale, collocato sul lato nord; facciata è infatti fondata su un dirupo roccioso che non ha consentito la creazione di un accesso canonico.
L’abside conserva ancora all’esterno parte della decorazione architettonica originaria costituita da archetti binati separati da lesene con capitelli scolpiti. Una doppia cornice sovrapposta a denti di sega e a gola dritta segna il piano di imposta della calotta absidale.

L’Eremo doveva servire anche come luogo strategico di osservazione per controllare l’arrivo dei saraceni dal mare. Questa destinazione d’uso secondaria è testimoniata anche dal fatto che lungo il sentiero, poco prima di arrivare all’Eremo, si incontrano i resti di una piccola torre di avvistamento.

Il progressivo decadimento dell’eremo si accentuò nei primi decenni del Novecento, quando il sito fu prescelto dalla Marina Militare per la costruzione di un semaforo. In questa occasione gran parte del materiale lapideo del monastero venne reimpiegato per la nuova costruzione (sic!). Il complesso religioso fu studiato e rilevato fin dal 1925 da Marco Nicolò Conti.

“Nel 1991 fu eseguito un lavoro di consolidamento dei ruderi e una campagna di scavo archeologico e di rilievo. L’intervento ha riguardato, in primo luogo, il consolidamento delle sostruzioni nell’angolo nord-ovest della chiesa, minacciato da rigonfiamenti e parziale caduta di materiale lapideo. Non essendo possibile intervenire con attrezzature sofisticate, a causa della difficoltà di accesso al cantiere, si è operato con il sistema a cuci e scuci. Il paramento lapideo delle absidi, ancora conservato, è stato consolidato mediante il risarcimento delle lacune e la stilatura dei giunti di malta, quasi completamente erosi dall’azione eolica. Il materiale impiegato è un impasto di calce idraulica e sabbia bruna, di colorazione e granulometria simile a quella ancora esistente. Parte dei conci delle lesene, che furono asportati in epoca recente, sono stati ricollocati in opera, impiegando elementi lapidei di recupero ritrovati nell’area di cantiere. È stata realizzata la pavimentazione in pietra a spacco nel vano principale della chiesa per proteggere l’area di scavo archeologico che, dopo un attento studio e un accurato consolidamento, è stata ricoperta. Anche l’intonaco ancora conservato nella calotta dell’abside è stato consolidato e reintegrato” (1).

 

La statua lignea di Sant’Antonio abate, realizzata nel XV secolo, che era nell’antica chiesa del Mesco, è oggi custodita all’interno dell’oratorio della Morte e Orazione o della Confraternita dei Neri, nel centro storico di Monterosso al Mare.

 

(1)  Alcune notizie sono tratte dal testo del cartellone presso l’Eremo, illustrato con il dettaglio di una carta di Matteo Vinzoni (1690-1773), una planimetria orientata e il prospetto esterno della zona absidale (1992) e redatto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici e Soprintendenza Archeologica della Liguria.

Link:
https://it.wikipedia.org/wiki/Eremo_di_Sant%27Antonio_del_Mesco

http://uranialigustica.altervista.org/edifici/schede/sp_s-antonio.htm
Rilevatore: AC


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