ASTI, loc. Viatosto. Chiesa di Santa Maria, affresco con sant’Antonio abate

La chiesa di Santa Maria di Viatosto è una chiesa cattolica situata ad alcuni chilometri dalla città di Asti nel Borgo Viatosto.

L’edificio fonde elementi romanici con l’inserimento di elementi gotici che si armonizzano perfettamente con le precedenti strutture. Dal sagrato, è possibile ammirare una splendida visuale della città.
Gli affreschi si possono datare a partire dal XIII secolo. I dati forniti dagli scavi archeologici, effettuati tra il 1994 e il 1997, hanno permesso di individuare almeno cinque interventi pittorici nell’interno della chiesa di Viatosto: esattamente nei secoli XIII, XIV, XV, e XIX e l’ultimo (quella con la volta stellata) nel 1906.
L’abbondanza di affreschi riproducenti la madre di Dio nell’atteggiamento materno dell’allattamento può far pensare che anticamente questa chiesa fosse meta di devozione soprattutto per chiedere la grazia del parto e il dono del latte materno, alimento indispensabile per i neonati.
Particolarmente ricco di decorazioni è il presbiterio, dove spiccano:
– nella lunetta di sinistra: San Giorgio che uccide il drago (1380-1390);
– nella lunetta di destra: L’Annunciazione;
– sulla lesena di sinistra: Madonna del latte
– sopra la porta del campanile: La leggenda di Viatosto, quasi un ex voto, in cui sant’Antonio abate, invocato contro la peste, presenta tre nobili astigiani alla Madonna.
– sulla lesena di destra: San Giovanni Battista.
Altri affreschi si trovano nella navata centrale:
– lunetta sinistra sopra l’ambone: Santa Caterina d’Alessandria presenta una devota alla Madonna seduta in trono;
– sulle lesene centrali Madonne del latte.
Nella navata laterale di destra sono presenti un velario e frammenti di pitture sulle volte.

Note storiche:
Lo storico S.G. Incisa nel suo lavoro intitolato “Asti nelle sue chiese ed iscrizioni“, datato al 1806, formula l’ipotesi che il toponimo di Viatosto derivi dalla miracolosa cessazione della peste nell’anno 1340 in Asti, che via tosto (ayatost), da quel luogo in poi, si liberò “presto” in tutta la città.
Si può pensare che anticamente Viatosto fosse un piccolo borgo raccolto attorno ad una chiesa pievana con cimitero.
Le prime notizie certe identificano la chiesa col nome di Santa Maria de Riparupta (Rivarotta) in atti del XI secolo.

Fase cronologica:
I restauri eseguiti, hanno messo in luce una struttura originaria a tre navate, con una grande abside che concludeva la navata centrale. Nella cappella sinistra del presbiterio sono stati rinvenuti scheletri umani risalenti al secolo XI, tutti sepolti rivolti a oriente.
Nel XIV secolo si ebbero le principali trasformazioni della fabbrica, che assunse una decisa impronta gotica. L’abside venne modificata a pianta pentagonale, con piccole semicolonne agli angoli. Furono poi realizzate volte a crociera su tutta la chiesa.

 

Link:
http://archeocarta.org/asti-viatosto-chiesa-di-santa-maria-ausiliatrice/

Rilevatore: Angela Crosta, Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 03/07/2012

MOMPANTERO (TO). Cappella nella frazione di Castagneretto, affresco con sant’Antonio abate

Sorge nella frazione totalmente abbandonata; lungo il GTA529 all’incrocio con il sentiero dei Monaci; ad un altitudine di metri 936.

 

Cappella a navata unica, di dimensione m. 2.40 x 3.30 circa (altezza al colmo  m 3.80),  probabilmente dedicata all’Annunciazione a giudicare dall’affresco della lunetta in facciata.
L’ingresso, ad arco a tutto sesto successivamente tamponato con porticina in legno, è esposto a Nord/Est. Volta a crociera, stellata. Pareti in pietra , pavimento in battuto. Pareti laterali e di fondo affrescate, in controfacciata semplice decorata con girali.

 

L’edificio è in cattivo stato di conservazione ad eccezione del tetto rifatto da pochi anni a spese di un privato benefattore e quindi in ottimo stato.
L’affresco in facciata versa in pessimo stato con gran parte dell’intonaco in fase di distacco.
All’interno su parete sinistra affresco, di discreta leggibilità, raffigurante san Sebastiano (legato a tronco incorniciato da architettura a colonne, con ai lati san Rocco e sant’Antonio abate.
Sulla cornice in basso si nota una iscrizione che riporta, tra l’altro, la datazione (1608).
Sulla parete di destra (esposizione a Sud/Ovest) è l’affresco peggio conservato (si intravede solo un  san Lorenzo) per il resto è perduto anche per la tamponatura di un altro arco preesistente su questa parete.
Sulla parete di fondo, sopra l’altare , affresco raffigurante nel registro inferiore  sant a.Lucia a destra e santa Caterina a sinistra, in discrete condizioni; nella lunetta sovrastante Crocefissione con Madonna e  san Giovanni con sullo sfondo rappresentazione della città di Gerusalemme (?). Quest’ultimo affresco presenta una ampia crepa, temo strutturale visto che la parete di fondo sorge sullo strapiombo, che parte dal vano del tabernacolo e con andamento verticale lo attraversa tutto.

Cronologia: XVI – XVII sec.

Note:
I dati sono stati estrapolati da una scheda redatta il 22-05-2011 da Renato Airasca componente del Nucleo di Pronto Soccorso per i Beni Culturali di UNI.VO.C.A.

Fruibilità:
Sempre aperta

Rilevatore: Valter Bonello

Data ultima verifica sul campo: 22/05/2011

MOMPANTERO (To), fraz. Ganduglia. Cappella dell’Immacolata, con affreschi raffiguranti sant’Antonio abate

 

Cappella di Ganduglia, frazione di Mompantero, posta nel centro abitato (abitato stabilmente) ad una altitudine di m. 940 s.l.m.


Cappella ad una navata di dimensioni m.6×5.5 (internamente m. 5×4 altezza m.3 al colmo), dedicata all’Immacolata.
Campanile a vela, volta a botte, pareti in pietra internamente intonacate, pavimento in calcestruzzo.
Restauri del 95/96 che oltre ai pavimenti hanno interessato le pareti (salvo dove si sono salvati gli affreschi) ed il tetto.

Gli affreschi sono databili nel 1727 come si legge sul cartiglio dell’affresco a fianco dell’altare.
Gli stessi contengono due immagini di Sant’Antonio Abate.

 

Note:
I dati sono stati estrapolati da una scheda redatta il 22-05-2011 da Renato Airasca componente del Nucleo di Pronto Soccorso per i Beni Culturali di UNI.VO.C.A.

Fruibilità:
La cappella è consacrata e vi si tiene un’unica funzione annua, la chiave è reperibile presso gli abitanti del luogo.

Rilevatore: Valter Bonello

Data ultima verifica sul campo: 22/07/2011

SEZZADIO (Al). Chiesa di Santo Stefano di Sezzè o Santa Maria di Banno di Sezzè, due affreschi con sant’Antonio abate

Chiesa del cimitero, fuori il paese.

Fra le prime attestazioni dell’esistenza della chiesa, particolarmente significativa è la Bolla di Innocenzo III, datata 16 giugno 1135, in cui Santo Stefano di Sezzadio viene annoverata fra i possessi del monastero di Santo Stefano di Genova.
Tale possesso viene riconfermato dalle bolle successive di Eugenio III (18 agosto 1145), Urbano III (4 febbraio 1180) e Celestino III (13 febbraio 1193).
– 3 gennaio 1235 – Con duplice atto, vengono effettuate la donazione della chiesa e la vendita della grangia alle monache cistercensi di Santa Maria di Banno di Tagliolo, di cui è badessa Giacoma Canefri.
– 16 aprile 1244 – Approvazione vescovile della vendita e autorizzazione alle monache a prendere possesso del monastero. Da allora, Santo Stefano di Sezzè cambia nome in Santa Maria di Banno di Sezzè.
– 24 luglio 1469 – Le Monache, delle  quali all’epoca è badessa Brigida di Coronata, si trasferiscono da Tagliolo a Sezzadio e provvedono a far affrescare la chiesa.
– 25 agosto 1512 – Il monastero passa dalle monache cistercensi alla congregazione lateranense dell’ordine di Sant’Agostino.
– 22 maggio 1517 – Il monastero viene ceduto ai canonici lateranensi del convento di Santa Maria di Castello di Alessandria.
– 15 luglio 1649 – Il monastero ritorna alla congregazione lateranense dell’ordine di Sant’Agostino, che provvede ad assegnarla al convento di San Teodoro di Genova.
– Fine del XVIII secolo – L’antica chiesa di Santo Stefano per le leggi napoleoniche viene incamerato dalla civica amministrazione del Demanio, come bene pubblico.
– 1817 – La chiesa passa al Comune di Sezzadio, e diviene cappella del cimitero che il Comune stesso ha realizzato nell’orto annesso all’edificio sacro. Nell’orto hanno sepoltura i sezzadiesi, mentre in un sotterraneo della chiesa viene riservato il posto per la sepoltura dei sacerdoti.
– 1863 – La tenuta di Santo Stefano, con i suoi beni, ammontanti a 139 ettari, 68 are e 78 centiare, viene posto all’asta dal Regio Demanio e passa alla famiglia Frascara assieme a Santa Giustina.
– Anni Trenta del ‘900 – La chiesa di Santo Stefano, con annessi fabbricati viene ceduta al sezzadiese Angeleri Paolo, capomastro.
– 9 dicembre 1988 – Con atto di donazione, Alessandro Angeleri, figlio di Paolo, dona al Comune di Sezzadio la chiesa di Santo Stefano e il relativo cortiletto
– Anni Novanta – Primi restauri sull’edificio sacro: un primo intervento viene gestito direttamente dalla Soprintendenza, un secondo è coordinato dal Comune. Entrambi gli interventi, si legge in una nota scritta del sindaco dell’epoca Giuseppe Ricci (primo cittadino del paese dalla metà degli anni Ottanta fino al 2004) vengono eseguiti al fine del recupero dell’edificio alla celebrazione liturgica.
La storia recente
Nel riassunto dei fatti possiamo partire proprio dalla decisione del sindaco, Giuseppe Ricci (lo stesso che aveva accolto la donazione della chiesa e che era alla guida del paese negli anni dei primi due interventi di restauro), e del suo vice Giovanni Battista Sardi (a sua volta sindaco dal 2004 al 2009), di procedere con il recupero della chiesa, in parte grazie a contributi richiesti alla Soprintendenza regionale, in parte con spese di Amministrazione comunale.
In nuove elezioni locali, il testimone di sindaco passa nelle mani di Giovanni Battista Sardi che, tra fine 2007 e inizio 2008, decide «di destinare alcune antiche pietre, di proprietà del Comune e da tempo inutilizzate, alla costruzione di un altare da collocare in Santo Stefano».
«La nostra intenzione, e non è un mistero, era quella di riaprire la chiesa al culto, con il benestare del Parroco e Vescovo. Ne avevamo anche parlato con lui, in occasione della sua visita pastorale del dicembre 2004, incontrando da parte sua un vivo apprezzamento», spiega Sardi, e il racconto da lui fornito circa le pietre destinate a diventare il nuovo altare trovano conferma da parte di Ireneo Pagella, un sezzadiese che ricorda di essersi «recato di persona, insieme a Sergio Garrone, proprio ad Incisa, per prendere visione del lavoro. Grazie alla collaborazione di Ugo Tonello, titolare di una ditta di movimento terra, le pietre ormai levigate furono riportate a Sezzadio e poste nella chiesa per venire poi benedette dal Vescovo».
Della chiesa ormai restaurata prende visione, nel maggio 2009, anche il parroco, don Luciano Cavatore, che ricorda: «Chiamato dal sindaco Sardi, mi recai in Santo Stefano, per osservare i progressi compiuti. Devo dire che rimasi favorevolmente impressionato ed espressi un notevole apprezzamento proprio per l’altare, che rispondeva pienamente alle norme liturgiche del Concilio Vaticano II. In quell’occasione, il Sindaco mi chiese cosa servisse per far sì che la chiesa potesse nuovamente essere utilizzata per celebrare messa».
L’allestimento, peraltro, doveva già essere a buon punto, visto che già all’inizio del 2009 si era provveduto all’acquisto di 22 sedie e un ambone il leggio per le letture e le prediche. Si noti che, secondo la liturgia rinnovata, gli spazi celebrativi necessari per la celebrazione sono l’altare, l’ambone e la sede, ovvero il luogo da cui il sacerdote presiede l’assemblea.
Il 7 giugno 2009, il colpo di scena: il sindaco Sardi perde le elezioni, vinte dall’attuale primo cittadino Pier Luigi Arnera; il cambio di amministrazione porta con sé un drastico cambiamento nelle scelte relative alla destinazione della chiesa di Santo Stefano, fino ai fatti delle ultime settimane.

Affreschi.
La maggior parte degli affreschi è databile tra il 1469 e il 1483, tra essi quello in cui è raffigurato sant’Antonio abate con sant’Apollonia, subito a sinistra entrando nell’edificio.

Invece l’affresco che segue sulla stessa parete (dopo un Santo a cavallo e san Sebastiano) è un sant’Antonio abate con san  Defendente, che risale alle soglie del Cinquecento.

 

Bibliografia:
 – F. GASPARDO, Memorie storiche di Sezzé Alessandrino: l’abbazia di S. Giustina, il monastero di S. Stefano o S. Maria di Banno, I, Alessandria 1912, pp. 203-305;
– E. PODESTÀ, Il monastero di S. Maria di Banno, in “Novi Nostra”, XXIV (1984), pp. 83-98;
L. TACCHELLA, Insediamenti monastici delle Valli Scrivia, Borbera, Lemme, Orba e Stura, Novi Ligure 1985, pp. 68-70.

Note: Si attende la conclusione di questa lunga vicenda.

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 30/06/2012 – aggiorn. 14  dicembre 2021

CASSINE (Al). Complesso Conventuale di San Francesco e Museo, affresco e statue lignee di s. Antonio abate

Piazza Vittorio Veneto, 2   –  info: Comune tel. 0144 715151

 

Il complesso francescano fu fatto edificare dai Francescani Minori Conventuali, giunti a Cassine intorno al 1232.
Ne è prova il testamento di Cesare Canefri, in cui alcuni suoi beni venivano lasciati per la costruzione della chiesa di San Francesco: “in laborerio eiusdem ecclesiae”. Essi si insediarono inizialmente “extra muros“, come ogni nuova comunità mendicante, presso l’ingresso settentrionale del paese nella chiesetta di San Secondo, successivamente si stabilirono nella sede del centro urbano appena costruita.
La data di edificazione è tuttora incerta, probabilmente l’inizio della costruzione è prossima al 1291 e l’ultimazione intorno al 1327, in relazione ad una bolla pontificia del Papa Giovanni XXII, in cui era concesso ai frati di trasferirsi entro il castrum.

Note storiche:
I verbali delle visite pastorali, a partire dal 1577, ci informano della presenza delle varie cappelle che i frati avevano concesso di edificare a famiglie e confraternite.
Nel 1623 si eseguirono lavori di rivestimento in muratura dei pilastri gotici e di tinteggiatura, per adeguarsi alle esigenze dei tempi; tali rivestimenti, nelle prime due campate a partire dal presbiterio, sono stati asportati durante i restauri operati nel 1925.
In occasione dell’arrivo nel 1713 delle reliquie di Sant’Urbano Martire, la chiesa ebbe un globale intervento di restauro e trasformazione, come evidenziano ancora numerose cappelle del lato meridionale.
Recentemente, attraverso sondaggi sui primi due pilastri rettangolari, risparmiati dall’intervento di restauro del 1925, è stato accertato l’inglobamento di ampie colonne non rimesse a vista in funzione delle attuali metodologie che mirano alla conservazione degli elementi successivi, altrettanto importanti degli originali.
In seguito alla soppressione napoleonica del convento, avvenuta per decreto nel 1802, i frati furono trasferiti nel convento di Moncalieri e tornarono nel 1830; nel decennio successivo furono sostituiti dai Padri Cappuccini.
Il convento fu definitivamente soppresso e incamerato nei beni dello Stato quando nel 1858 il Comune di Cassine lo acquistò adibendolo ad uso scolastico, funzione che sviluppa ancora ai nostri giorni, mentre la chiesa fu curata da alcune confraternite, svolgendo, come nei secoli passati, un ruolo unificante tra le varie parrocchie di Cassine.
La chiesa è uno dei pochi significativi esempi in Piemonte di architettura gotica lombarda, con derivazioni cistercensi.
L’edificio è orientato, con l’abside a levante e facciata a ponente, e ricalca lo schema costruttivo in uso alle costruzioni francescane trecentesche: pianta basilicale a tre navate, di cui la maggiore costruita da tre campate coperte da volte a crociera rialzata su archi ogivali, sorretta da costoloni caretani, compresa l’abside a pianta quadrate; le rimanenti due sono con volte a crociera nervata, su archi a tutto sesto.
Le prime due campate orientali della navata maggiore, sono a base rettangolare, affiancate da un numero doppio di campate minori a pianta quadrata; le due rimanenti campate centrali sono a base quadrata, affiancate ai lati da altrettante campate rettangolari.
I pilastri, alternati a colonne, sono a sezione rettangolare con semicolonne su tre lati, il quarto lato resta piatto, con in alto un capitello pensile, rivolto scambievolmente verso le navate minori; i capitelli pensili verso la navata maggiore sono posti ad un’altezza inferiore rispetto a tutti gli altri capitelli, sorreggendo semicolonne di ribattuta.
Altri capitelli pensili sono inseriti sulle pareti laterali: sistema per conferire maggior spazialità alle navate. I pilastri e le colonne sono caratterizzati cromaticamente da fasce alternate in cotto ed arenaria, così come negli archi ad ogiva e, dove questi sono ricoperti da intonaco, compare una decorazione a finti conci lapidei.
La facciata, in muratura a vista scandita da lesene che ripartiscono le navate, a modo di quinta architettonica, e un basamento in arenaria calcarea.
Il portale è ricoperto da un frontone triangolare a ghimberga in mattoni, sovrastato da un rosone in conci alternati di cotto ed arenaria.
Il fronte sovrasta le navate ed è coronato da archetti pensili, distesi su un fondo a fascia intonacata ad imitazione della pietra, reggenti un cornicione con fascia intonacata ad imitazione della pietra, reggenti un cornicione con fasce di mattoni e mattoncini disposti a losanga, mentre verso il lato meridionale, in coincidenza con le successive cappelle aggiunte e formanti una quarta navata, è la cappella di San Giovanni Battista del 1426, ornata con eguale fastigio sul fronte.
Nell’abside il prospetto, con paramento in mattoni, è racchiuso ai lati da pilastri incappucciati, il cornicione si articola con maggior evidenza in bicromia di archetti pensili in pietra e cotto, sotto e al centro, sono delineate due alte e strette monofore.
Completano le volumetrie esterne dell’edificio il campanile, con base cinquecentesca e cella campanaria in forme neogotiche, di epoca ottocentesca, posto sul lato meridionale dell’abside maggiore.
Sulla parete sud del coro si conserva un apparato liturgico, tipico delle costruzioni mendicanti, costituito da un arcosolio in cui sedevano i diaconi e da una bifora con lavello, per la cerimonia della purificazione. Caratteristica delle costruzioni degli Ordini mendicanti nel Trecento, ancora ben evidenziata in questo edificio, è, all’interno, la differente composizione ritmica dei pilastri e delle volte, in cui si distingue nettamente la zona più sacra, quella absidale assieme alle due campate più occidentali, riservata al culto e alla preghiera dei frati, dalla rimanente parte della chiesa, accessibile ai fedeli e coperta in origine con sole capriate lignee a vista, successivamente ricoperte con volte a crociera tra il XVI – XVII secolo.
In San Francesco di Cassine ci troviamo di fronte ad un edificio che è il risultato tra moduli costruttivi in linea con le regole codificate dall’ordine francescano, con elementi di derivazione cistercense come le absidi quadrate e i capitelli pensili e la tradizione locale di tipo lombardo.
Sul lato nord della chiesa si sviluppa il convento. Nel tempo venne a racchiudere due chiostri e spazi ad uso rurale quali cascinali, terreni coltivati a vigna, orti e giardino. Sono ancora attorno alla chiesa numerosi oratori, su terreni concessi dai frati a Confraternite, conferendo all’insieme una sorta di acropoli religiosa.
I restauri del 1925 hanno rimesso in luce l’architettura originaria trasformata in epoca barocca da rivestimenti e stucchi.
Attualmente è in atto il recupero architettonico di alcuni ambienti conventuali trecenteschi, appartenenti al primo chiostro, tra cui la Sala Capitolare con il suo ciclo di affreschi, la Sacristia ed un vano adiacente che costituiranno la sede del Museo degli Arredi della Chiesa di San Francesco.

Gli affreschi. Cicli di affreschi trecenteschi, databili attorno alla metà del secolo o poco prima, interessano sia la chiesa, sia la Sala Capitolare ove al centro è un’animata Crocifissione con ai lati figure di Santi scanditi da un fregio finto cosmatesco, presente in ogni differente partitura. Sulla parete settentrionale, in una narrazione continua, sono Storie dei Magi e l’Adorazione del Bambino in braccio alla Vergine, assisa in trono.
Sul lato opposto è ancora la Vergine col Bambino, assisa in trono e raffigurazioni di Santi, cari al culto francescano e a quello locale.
Lo stile si inquadra in un ambito di gotico internazionale nell’orbita del Maestro della tomba Fissiraga, operante tra Como e Varese. Stile penetrato in Lombardia nella prima metà del Trecento attraverso la cultura di Assisi, come indica l’arcaica iconografia dell’Adorazione dei Magi, in cui la Vergine col Bambino è assisa in trono, carattere che fa risaltare la nobiltà delle figure.
Non del tutto privo di altri elementi è invece la scena della Crocifissione “affollata”, affine ad un analogo esempio nella cappella del chiostro di Chiaravalle della Colomba, presso Piacenza, in cui una recente critica vede derivazioni giottesche, come denunciano anche le partiture chiuse da fregi cosmateschi.
Nella chiesa compare un ciclo collocato nella cappella presbiteriale di San Michele ancora stilisticamente collegato al Maestro della Sala Capitolare. Sulla parete meridionale sono due scene: l’Annunciazione e probabilmente un episodio della vita di San Giuliano, sul letto di morte dei genitori.
Gli stessi caratteri stilistici sono visibili nella Vergine Allattante sulla prima colonna destra ed in un San Francesco nel vano di controfacciata, per accedere alla cantoria.

Altro artista ha decorato il secondo pilastro destro, raffigurando Sant’Antonio Abate (vedi fig.) e la Vergine col Bambino.
L’anonimo frescante ha lasciato qui una delle sue figure più emblematiche che gli hanno valso il nome convenzionale di “Maestro di Sant’Antonio“, variamente operante in zona tra il III e IV decennio del 1400, come a Palazzo Zoppi di Cassine e sulle vele presbiteriali dell’Abbazia di Santa Giustina di Sezzadio. Stilisticamente queste pitture, dovute alla committenza della famiglia Zoppi attorno al 1426, sarebbero da accostare alle Storie della Passione in Santa Giustina di Sezzadio del 1422 circa.
Inoltre, probabilmente ancora dello stesso autore, sulla parete settentrionale, sopravvive un rovinato polittico affrescato, dedicato a San Martino: nel settore centrale è il Santo titolare sovrastato da una lunetta col Padre Eterno, sul lato sinistro San Francesco e Sant’Ambrogio, sul lato destro San Biagio e San Rocco.

Sul fianco del presbiterio si trovano alla sua destra la cappella di San Michele di cui si è già trattato, e alla sua sinistra due cappelle dedicate a Sant’Urbano martire ed a San Bernardo. Nella prima, decorata con pitture neogotiche del 1839, si venerano le spoglie di Sant’Urbano, compatrono del paese, conservate in un’urna di legno e cristallo contenente anche il vaso vitreo con il suo sangue, la spada e la palma del martirio.
Nell’attigua cappella di San Bernardo si erge un grandioso Crocifisso ligneo del XV secolo, collocatovi nel 1713 ed in origine posto sull’altare maggiore, dove nel 1857 fu sistemato un apparato ligneo con al centro un Crocifisso dell’intagliatore alessandrino Roncati. Sull’altare sarà ricollocata la tela della Vergine col Bambino ed altri Santi.
Discendendo la navata meridionale si incontrano la cappella dedicata al domenicano San Pietro Martire, quella di Sant’Antonio da Padova, quella di San Giuseppe da Copertino, quella dell’Immacolata Concezione, la cui statua lignea del XVIII secolo, attribuibile allo scultore Luigi Fasce, è conservata entro una nicchia dell’altare barocco in stucco policromo. Infine si incontra la cappella di San Giovanni Battista già descritta.

 

Il Museo di San Francesco “Paola Benzo Dapino”  è stato inaugurato nel 2011 ed espone una serie di arredi in un unico organismo costituito dagli elementi superstiti del convento e con la realizzazione di una nuova struttura avente funzione di ingresso. Il complesso, adiacente la chiesa, si compone di tre ambienti: Sala Capitolare, Sacrestia e Quadreria.
Il percorso museale comprende reliquiari lignei pervenuti nel 1713 con la donazione delle spoglie di Sant’Urbano Martire fatta dal vicario generale cardinale Gaspare di Carpegna; più precisamente: 12 busti di legno con ciascuno le ossa degli Apostoli: San Pietro, San Paolo, Sant’Andrea, San Giacomo Maggiore, San Tommaso, San Giacomo Minore, San Filippo, San Bartolomeo, San Matteo Evangelista, San Simone, San Taddeo, San Matteo; 11 statue lignee con reliquari di Santi fra i quali sono state restaurate quelle di Santa Caterina, San Giuseppe, San Pio Quinto; due braccia reliquario lignee con le reliquie di San Biagio e Sant’Alessandro; il reliquario della Colonna della Flagellazione con due angeli che sorreggono la colonna di Santa Prassede; altri reliquari di varie fogge, tra cui spicca quello del Triregno di San Pio V, completano il nucleo.
Sono esposti anche alcuni crocifissi lignei del XV e XVI secolo che presentano una foggia che legittima il confronto con altri presenti nell’alessandrino come a Ponzone e Quargnento e statue lignee raffiguranti Sant’Antonio Abate di fine ‘400 ed un Cristi Flagellato o Ecce Homo.

Tratto in parte da: Cassine: Terra di storia – Storia di Terra, a cura di S. Arditi e G. Corrado.

 

Link:
http://www.comune.cassine.al.it – Complesso conventuale di San Francesco

https://www.comune.cassine.al.it/it-it/vivere-il-comune/cultura/museo-d-arte-sacra-di-san-francesco-paola-benzo-dapino

http://archeocarta.org/cassine-al-complesso-conventuale-di-san-francesco-e-museo-di-san-francesco-paola-benzo-dapino/

Rilevatore: Feliciano Della Mora, Angela Crosta

Data ultima verifica sul campo: 29/06/2012 – aggiornam. dicembre 2021