SIENA. Pinacoteca Nazionale, “Sant’Antonio abate picchiato dai diavoli” del Sasssetta

Questo dipinto, che si deve all’estro del pittore senese Stefano di Giovanni meglio noto come il Sassetta (1392 circa – 1451), raffigura sant’Antonio abate picchiato dai diavoli, che si accaniscono su di lui con bastoni e addirittura serpenti usati a mo’ di frusta. E come se ciò non bastasse, il diavolo a destra sta trascinando il santo prendendolo per il vestito, mentre si appresta a colpirlo col bastone. I diavoli assumono le sembianze di mostruose creature a metà tra esseri umani e uccelli rapaci, anche se non riusciamo più a vedere le loro fattezze per intero in quanto volti e genitali sono stati cancellati: le abrasioni però ci consentono di vedere il disegno a stilo sottostante il dipinto, particolarmente evidente nel diavolo che sta al centro.
Le percosse dei diavoli sono simbolo delle dure prove che sant’Antonio abate ha dovuto affrontare durante il proprio periodo di meditazione nel deserto: un periodo nel quale, stando alla tradizione, si sarebbe confrontato proprio con le tentazioni e le sfide del demonio. La concitata scena è ambientata in un paesaggio montuoso (dove peraltro compare uno dei primi cieli nuvolosi della storia dell’arte italiana) che ricorda certe soluzioni dei fratelli Lorenzetti, senesi come il Sassetta: in particolare il debito più evidente sembra essere nei confronti dell’Allegoria della Redenzione conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Siena.
Il sant’Antonio del Sassetta è custodito nello stesso museo, ma in origine la piccola tavola (è di 24 per 39 centimetri) faceva parte della predella di un polittico, in particolare della Pala dell’Arte della Lana, che l’artista dipinse per la corporazione nel 1423. Fa parte della raccolta della Pinacoteca Nazionale dal 1842.
Vicino al bordo inferiore si può notare che è stato apposto un graffito che recita “SCS ATOGNO BASTONATO DA DIAVOLE”.

Fonte: www.finestresullarte.info

MASSAFRA (Ta). Chiesa rupestre della Candelora, con affresco di Sant’Antonio abate.

La chiesa della Madonna della Candelora, risalente alla fine del XII secolo, è una delle cripte più raffinate della scuola salentina, ma la sua parziale demolizione può solo farci immaginare la bellezza della planimetria originaria. Il suo nome deriva dall’uso popolare di chiamare la festa cristiana che celebra la Presentazione di Gesù al Tempio e la purificazione della Vergine Maria “Candelora” (festa che ricorre 40 giorni dopo Natale).
candelor01Negli anni ’80 del Novecento, per ampliare un giardino fu demolita l’intera facciata della chiesa e fu abbassato di circa un metro il piano di calpestio; questo intervento ha notevolmente compromesso la visibilità dell’impianto originario della cripta ricostruito tuttavia dall’architetto Roberto Caprara: la pianta della chiesa è inversa in quanto presenta l’abside e l’ingresso affiancati sul lato Est, e misura 8,50 m di larghezza per 6,00 m di profondità. La sua pianta è ripartita da due pilastri in sei campate che presentano ciascuna una copertura diversa: alcune presentano il soffitto piano, altre un tetto a doppio spiovente, un’altra ancora una copertura a quattro spioventi.

Lungo le pareti perimetrali corrono 13 arcatelle cieche (alcune accostate in coppia) divise da semicolonne con capitelli compositi, che conservano un importante ciclo di affreschi datati al XIII secolo. Infatti spesso la presenza di arcate cieche, adoperate a mo’ di cornice, è collegabile alla progettazione e realizzazione di affreschi, particolare è notare come le arcate appaiono “sospese”, cioè non raggiungono il piano di calpestio.
L’ingresso della chiesa è nel vano accanto al presbiterio in origine triabsidato con l’abside centrale più grande rispetto alle altre due (oggi mutilato), questo per rispettare l’orientamento liturgico che prevede l’altare direzionato sempre ad Est. Probabilmente al centro dell’abside centrale doveva esserci una finestra intagliata nella pietra ad illuminare il presbiterio.
Le due campate centrali in direzione Ovest-Est presentano uno sviluppo trapezoidale (figura geometrica particolarmente presente nelle chiese rupestri poiché favorisce la diffusione della luce), mentre la parete ad Ovest, e due tratti della parete Sud, sono suddivisi da nicchie gemellate. La parete Nord invece non presenta le nicchie gemellate ma una sola nicchia per ciascun tratto di parete.
Probabilmente doveva esserci una cisterna all’esterno della cripta, a Nord dell’ingresso principale.
Il vano più interessante è coperto da una notevole grande cupola lenticolare impostata su mensole gigliate, che trasformano in ottagono il quadrato della cornice di raccordo, a sua volta sorretta da piccole mensole triangolari. L’ornamentazione scultorea della cripta è notevole, tanto da poter accostare il lavoro di intaglio della pietra alla coeva produzione di oggetti intagliati nel legno.
Il bema, zona in cui avvenivano le celebrazioni e dove era posizionato l’altare, doveva essere in origine rialzato, cosa deducibile dalle tracce residue lasciate nelle pareti dopo la demolizione del piano di calpestio.
Annessa alla chiesa è collocata, in posizione isolata rispetto alla cripta, una cappella funeraria. Solitamente le cappelle funerarie, poste all’esterno delle chiese rupestri, conservano poche sepolture appartenenti ai fondatori della chiesa o ai suoi benefattori e l’accesso è possibile o dall’esterno (come nel caso della Candelora) o dall’interno della cripta. Dal confronto delle varie cappelle annesse alle chiese rupestri in Puglia è emerso che risultava importante che la cappella fosse a contatto con la zona più sacra della chiesa cioè il presbiterio.
All’interno della chiesa è affrescata la Presentazione al Tempio di Gesù (iconografia importante in quanto la chiesa era dedicata alla Candelora): la Vergine presenta il Cristo Bambino a san Simeone quale offerta per la salvezza dell’umanità. L’anziano san Simeone, con capelli e barba bianchi, indossa una mantello blu ed è raffigurato mentre accoglie tra le sue braccia il Bambino Gesù. Quest’ultimo, rivolto verso san Simeone, è in braccio alla Madre: è dipinto con le braccia aperte e indossa una tunica bianca. La Madonna indossa una tunica rosso scuro e con la mano sinistra sembra quasi presentare il Figlio al sacerdote sul modello dell’iconografia dell’Odeghitria: “colei che indica la via”.

 

 

 

Nella cripta è presente un’altra scena, molto importante per la sua rarità, che si ricollega alla scena della Presentazione al Tempio. Quasi a prefigurare la Passione di Cristo, la Vergine, che indossa un maphorion rosso e una tunica blu, guarda teneramente il Bambino mentre gli stringe la mano. Il Bambino, che indossa una tunica rossa e un mantello blu (colori invertiti rispetto alla Madre e dalla chiara valenza simbolica), indirizza il suo sguardo verso la Madre e regge con la mano sinistra un paniere con delle uova. L’immagine è incorniciata da un motivo a racemi inclusi in una ulteriore cornice rossa.
Questa raffigurazione appare quasi identica nella cattedrale di Prizren, in Serbia, in un affresco risalente al 1230 circa, in cui il Bambino, in braccio alla Vergine, attinge da un cesto: l’iscrizione in serbo cita il Bambino come Krimitiel (corrispondente a Tropheus in greco) cioè “nutrimento”. Cristo è qui rappresentato quindi come nutrimento spirituale, in ricordo del sacrificio eucaristico finalizzato alla salvezza dell’umanità.

Seguono: il dittico con Santo Stefano e San Nicola Pellegrino (o S. Nicolicchio); S. Nicola, Madonna con Bambino; S. Matteo, S. Nicola, S. Giovanni, S. Pietro in cattedra, S. Antonio Abate, S. Marco e la Madonna orante con Bambino.

 

Bibliografia:
– Dell’Aquila F. – Messina A., Le chiese rupestri di Puglia e Basilicata, Bari 1998.
– Jacovelli E., La Città e il territorio, Massafra 1981.
– Caprara R., La chiesa rupestre di Vico III Canali e l’Architettura della Candelora di Massafra in Puglia e Basilicata tra medioevo ed etŕ moderna. Uomini, spazi e territorio, Miscellanea di studi in onore di C. D. Fonseca, Galatina 1988.

MASSAFRA (Ta). Chiesa ipogea di San Leonardo, con immagine di Sant’Antonio abate

massafra 1La Chiesa ipogea di San Leonardo (XIV sec.) fino agli anni ’60 si trovava al centro di un uliveto, ora è inglobata nel centro urbano di Massafra; è scavata in piano con la tecnica delle case grotte in vicinanza (case a pozzo). E’ parzialmente crollata per la caduta del pronao o vestibolo.
Nella calotta absidale è dipinta la Deisis, composizione con Cristo in trono affiancato dalla Vergine Maria e da S. Giovanni Battista in veste di intercessori.
massafra 2Negli archi sono dipinti i Santi Cosma e Damiano, S. Antonio Abate (intradosso dell’arco nord) e San Paolo Primo eremita.
Il dipinto di Sant’Antonio è di cm 152 in h e di cm. 52 in l. Porta le iscrizioni: S(anctus) Antonius e Ae(m)ula(n)tes pr<a>ecep(t) patris; è in buono stato di conservazione. Il dipinto è inserito entro una cornice a duplice fascia, di colore rosso quella esterna e ocra, profilata di bianco, quella interna. Lo sfondo è tripartito, blu scuro in alto e in basso, ocra nella parte mediana.
La figura di Sant’Antonio abate è rappresentata in abito monastico con saio chiaro. Scarpe di stoffa con ricami ai piedi, del tipo che solitamente si incontra nella rappresentazione di figure di vescovi. Entro una grande aureola ocra, profilata di risso e di bianco, è il capo coperto da cappuccio, dal quale fuoriescono due riccioli sulla fronte. Volto dai lineamenti severi, barba bianca a punta, con “conchiglia” sul mento. Il Santo benedice con la destra alla maniera orientale e regge con la mano sinistra il bastone a Tau; con lo stesso braccio stringe al petto il cartiglio con l’iscrizione – le cui lettere sono in alcuni punti danneggiate da intenzionali scalfitture – che è una esortazione per i seguaci, che devono essere “emulatori dei precetti del padre”, che potrebbe essere lo stesso Antonio o, forse il Paolo Eremita rappresentato di fronte.

Sull’iconostasi si conservano l’affresco di San Pietro e i resti di quelli di S. Andrea e di S. Stefano.

Autore: Giulio Mastrangelo

SAA San Leonardo Massafra

UDINE. La Chiesa di San Giacomo in Mercatonuovo; altare di Sant’Antonio abate

san giacomo facciataNel cuore di Udine, compresa fra la prima e la seconda cerchia delle antiche mura, si apre piazza San Giacomo nel “Mercatonuovo” o piazza delle Erbe, come a lungo la chiamarono gli udinesi, oggi piazza Matteotti. Sobria ed elegante, percorsa su tre lati dai portici e limitata dalle restaurate case alte e strette, che ancora conservano sulla fronte le tracce degli affreschi geometrici del Quattrocento e del primo Cinquecento, la piazza si conclude con l’elegante facciata della chiesa di San Giacomo.
Le origini della chiesa sono antiche e legate alla presenza in Udine della Confraternita dei Pellicciai.
Alla fine del Trecento la Fraterna risultava così fiorente da consentirle di costruire una nuova chiesa “sotto il titolo di S. Jacopo” in Mercatonuovo, nel luogo chiamato “Campo di giustizia” in quanto sede delle esecuzioni dei malfattori. Il suo documento di fondazione è del 3 maggio 1401. Questa primitiva chiesa, non di notevoli dimensioni, era preceduta da un portico con altare.
Dalla sua costruzione la Confraternita dei Pellicciai si occupò di curare ed abbellire la chiesa: già nel 1461 diede l’incarico al maestro intagliatore e indoratore Stefano di Settecastelli di Transilvania, abitante a Udine, di scolpire un’Ancona lignea a due ordini sovrapposti, ricca di sette statue di santi.
Il programma di risanamento e di riqualificazione urbanistica del Mercato nuovo, attuato dal Comune cittadino, non poteva lasciare indifferente la ricca Confraternita dei Pellicciai, che nel 1521 decise di partecipare a tale rinnovamento abbattendo il portico con poggiolo davanti alla chiesa di San Giacomo per edificare una nuova facciata con torre dell’orologio, incarico che fu affidato quattro anni più tardi al luganese Bernardino Bortolini da Morcote.
Nel 1487 fu costruito, per volontà del Luogotenente veneto Tommaso Lippomano il pozzo che tutt’oggi ammiriamo anche per l’insolita forma: sulla cisterna ottagonale s’impongono, infatti, quattro colonne che sostengono il coperchio sopra cui s’innalza una colonna isolata, mentre sul basamento si vede la scritta C.VT.F.F. (Civitas Utinensis Fieri Fecit).
L’opera fu eseguita probabilmente da maestranze lombarde, in quei tempi presenti in città a causa della saturazione del mercato veneziano. Ad uno di questi artisti è da attribuire anche la Colonna sormontata dalla coeva Vergine col Bambino, collocata sull’area sopraelevata. Curiosi e di qualche interesse sono i ferri che sporgono da essa: un tempo, secondo le antiche cronache, reggevano una campana i cui rintocchi si diffondevano alle ore nove per indicare la fine del “mercato libero”: dopo quell’ora, infatti, la compravendita era permessa “solo tramite i venditori di piazza”.

L’altare di Sant’Antonio abate
SAA san giacomoIl primo altare a sinistra dedicato a Sant’Antonio abate fu eretto nel 1724 ad opera di Simone Pariotti, che ripropose le forme classiche e sobrie utilizzate nell’altare di Santa Apollonia, creando così due complessi architettonici quasi identici.
Nel 1725 vi fu collocata la tela raffigurante La Madonna del Carmine fra i Santi Antonio abate, Antonio da Padova, Lorenzo e Giovanni Battista.
Il dipinto, per lungo tempo attribuito erroneamente al pittore Giacomo Carneo, è in realtà di Pietro Venier, del 1725.

Notizie più esaurienti, vedi: https://guidartefvg.it/elenco/la-chiesa-di-san-giacomo-mercatonuovo/

Info:
Piazza Giacomo Matteotti, 33100 Udine UD
Telefono: 0432 505302

CIVIDALE DEL FRIULI (Ud). Duomo, “Sant’Antonio Abate che adora la Vergine col Bambino”

La prima sala della sacrestia, a lungo usata come coro invernale dagli ecclesiastici, ha le pareti rivestite da stipi e stalli lignei dei canonici che, in gran numero un tempo, componevano il Capitolo.
SAA in adorazioneHa inoltre un altare marmoreo realizzato dal palmarino Carlo Picco nel 1760-1761, dedicato a sant’Antonio, il cui titolo fu trasferito dall’omonima, antica chiesetta, situata appresso al vergine col bambinoduomo e demolita nel 1631 per innalzare il nuovo campanile. Accoglie S. Antonio Abate che adora la Vergine col Bambino, una delle migliori opere del veneziano Giuseppe Diziani (1732-1803), dai piacevoli colori di tono metallico, sapiente strutturazione, figure composte ed eleganti, nonché vivace attenzione al paesaggio; sinora di incerta datazione, in base a nuovi documenti d’archivio è riportabile al 1764.

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Informazioni esaurienti sul Duomo di Cividale si trovano in: https://guidartefvg.it/elenco/il-duomo-di-cividale/