La Cappella fa parte di un appartamento privato nel complesso di Villa Le Campora, via delle Campora. Non visitabile
https://www.google.it/maps/place/Villa+Le+Campora
Il monastero delle Campora, la cui chiesa era dedicata a Santa Maria del Santo Sepolcro, si trovava sulla parte più alta del poggio delle Campora (dal latino “i campi”). Chiamato nei documenti anche monastero di San Sepolcro a Colombaia, fu fondato nel 1334 quando l’anacoreta Bartolommeo Bononi da Pistoia ottenne da papa Giovanni XXII facoltà di fondare presso Firenze un convento di frati dell’Ordine agostiniano vestiti di bigio. Dopo tentativi andati male, nel 1355 i frati ottennero di poter riedificare il convento nel popolo di Sant’Ilario nella collina di Colombaia. Qualche anno, dopo, tramite l’operato del cardinale Pietro Corsini, il monastero divenne per decisione papale la casa madre dell’Ordine di San Gerolamo meglio noto come ordine dei Girolamini.
Nel 1434 il monastero fu soppresso da papa Eugenio IV, che lo affidò poi ai monaci benedettini (cassinesi) della Badia Fiorentina. Essi però, dopo i danni dell’assedio di Firenze (1529-1530), ne convertirono i locali per ridurlo a luogo di soggiorno estivo, mantenendo l’ufficiatura della chiesa che era sovvenzionata da varie famiglie magnatizie fiorentine.
Di tutti gli altari e le cappelle laterali oggi resta soltanto quella di Sant’Antonio abate, accanto alla cappella maggiore, verso la sagrestia, fondata nel 1368 da messer fra Bartolomeo di Bindo Benini, priore dell’ordine gerosolimitano. Le pareti sono decorate da un ciclo di affreschi sulla vita del Santo, attribuito a Pietro Nelli o al giovanissimo Agnolo Gaddi, dove comunque compaiono un paio, se non tre mani diverse. Forse potrebbe trattarsi del misterioso Giovanni Gaddi.
Le scene affrescate sono tratte dalla biografia composta dal vescovo di Alessandria, Atanasio, e dalla Vita di Paolo, di Girolamo: il ciclo, che si svolge sulle tre pareti della cappella e si organizza in due registri che si leggono da sinistra a destra, dall’alto al basso. Partendo dalla parete sinistra, nel registro superiore, due scene distinte separate da un ammasso di rocce, con Antonio che distribuisce i suoi beni a poveri e bisognosi e poi visita un anziano monaco che vive ai margini della città, prima di affrontare l’eremitaggio nel deserto. Sulla parete dell’altare, nel registro superiore, diviso in due parti dalla finestra, sono raffigurate: la tentazione dell’avarizia, con la comparsa nel deserto di un masso d’oro (che doveva essere di lamina metallica e il cui distacco ha causato un’ampia lacuna) e la distruzione del romitaggio da parte dei diavoli. I tormenti demoniaci proseguono nella parete destra, sempre nel registro superiore, con il Santo battuto dai demoni e poi molestato dal diavolo panzooico che gli appare sotto forma di animali selvaggi (si distinguono ancora undici animali disposti su due file tra cui un orso, un caprone, un leone, un cinghiale, un lupo, un toro e un leopardo). Mentre il registro superiore è dedicato alla tentazione, alla prova, alla solitudine del deserto, il registro inferiore ha come tema la nascita del cenobitismo nell’Egitto del IV secolo, con Antonio che istruisce i suoi discepoli all’interno di un edificio conventuale e poi parte alla ricerca di Paolo. Il viaggio di Antonio per incontrare Paolo è narrato nel registro inferiore della parete dell’altare: a sinistra della finestra, Antonio incontra il centauro (in alto) e il satiro (in basso) che lo guidano nel deserto; a destra della finestra l’asceta sta bussando con una pietra al romitaggio di Paolo, il cui volto si intravede tra le rocce. Il ciclo si conclude sulla parete destra con Antonio e Paolo (vestito con la tunica di palma intrecciata) nutriti da un corvo: la scena è ricca di invenzioni interessanti: l’albero che, con le foglie ricoperte di datteri rossi, ‘buca’ la roccia della grotta; il corvo che vola sospeso tra i due volti specularmente simili degli eremiti. Chiude il ciclo il seppellimento di Antonio da parte di due discepoli mentre in alto quattro angeli portano in cielo l’anima del Santo: notevole è l’attenzione al vero, con il corpo dell’anacoreta che grava sul telo su cui è trasportato e affatica le schiene dei due compagni chinati. Completano la decorazione i quattro Evangelisti, identificati dai loro simboli e dalle iscrizioni perfettamente leggibili.
L’abate Domenico Moreni, nel 1793, testimoniò come ancora la chiesa conservasse, al suo interno, stemmi, varie sepolture nella pavimentazione, pitture di Neri di Bicci, Paolo Uccello e Filippino Lippi (Apparizione della Vergine a san Bernardo, oggi alla Badia Fiorentina) e altri. L’altare maggiore, sovvenzionato dagli Albizzi, era decorato fra Tre e Quattrocento dal grandioso polittico di Rossello di Jacopo Franchi oggi alla Galleria dell’Accademia.
Il fabbricato della chiesa cadde in stato di semi-abbandono dopo le soppressioni, finché l’ex monastero fu, in parte, trasformato in villa ad opera dei Del Corona, che l’acquistarono nel 1815 dal patrimonio delle corporazioni religiose. Poi fino alla prima metà del Novecento, la proprietà passò ai Burn-Murdoch.
Attualmente il fabbricato, dopo imponenti lavori di ristrutturazione terminati nei primi anni ottanta del Novecento risulta diviso in circa nove appartamenti tutti privati, taluni tra i quali (non aperti al pubblico) includono tutt’oggi il capitolo, due lati porticati del chiostro quattrocentesco e la cappella di sant’Antonio.
Bibliografia:
Fenelli Laura, Il convento scomparso. Note per una ricostruzine del complesso fiorentinodi Santa Maria al Sepolcro (le Campora), in: “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, Bd. 55 Nr. 2, 2013
Molte immagini sono reperibili nel sito:
https://www.bildindex.de/bilder/gallery/encoded/eJzjYBKS42IvyEzWTczJEWJPTswtyC9KlGJ29HNRYi7JydZiEErmEgDJg3FRfllmSmqRkLNbTn5Ral6VjoJ3aV5xSUZmcUl-UWZxckZqsYInUCCzpLREITNPAa7MN7FCNyAnMS85Wxcmj2wJAALnK3w*
Link:
https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_Santa_Maria_del_Santo_Sepolcro
Rilevatore: AC