LACONI (OR). Chiesa di Sant’Antonio abate

La chiesa di S. Antonio Abate si trova nella parte alta di Laconi, al termine di un ripida salita.
Via Sant’Antonio, 16
https://goo.gl/maps/m62d1wCurdph6NiW8

 

L’edificio, di fattura piuttosto semplice, venne edificato in stile romanico ma fu in seguito rimaneggiato o ricostruito nel 1704 per volere del rettore Cosma Bonaventura Manis, il fatto è documentato da un’epigrafe in facciata.
Durante i restauri del 1865 furono rifatti due archi, il tetto e il pavimento.
Nel 1964 fu ampliata la chiesa e costruito il nuovo presbiterio.

La facciata, molto semplice, intonacata con malta cementizia, è quasi priva di elementi decorativi. L’ampio portale ligneo, ad arco a tutto sesto con cornice, è sovrastato da un raffinato rosone con decorazioni a rilievo realizzate in pietra locale. Sul portale è murata l’epigrafe del 1704.
Sul semplice tetto a capanna spicca una piccola croce.

La chiesa è caratterizzata da una pianta rettangolare articolata in una sola navata separata dal presbiterio da un arco in mattoni a sesto acuto. Il presbiterio è sopraelevato da un gradino rispetto alla navata. Le pareti interne sono intonacate, tinteggiate di bianco e prive di elementi decorativi. La navata è divisa in quattro campate, delimitate da archi a tutto sesto su cui poggia la copertura e con relativi contrafforti esterni. Le murature sono realizzate in pietra locale.
All’interno della chiesa è conservata una bella statua di S. Antonio.

 

Il 17 gennaio, o la domenica più vicina, si svolge la tradizionale festa di sant’Antonio: al termine della consueta celebrazione liturgica, la statua del Santo viene portata in processione dalla Parrocchia alla Chiesa di Sant’Antonio ed effettua i tradizionali tre giri intorno al falò.


Link:

https://www.beweb.chiesacattolica.it/edificidiculto/edificio/83827/Chiesa+di+Sant%27Antonio+Abate

PERLEDO (LC), frazione Vezio. Chiesa di Sant’Antonio abate

Il borgo di Vezio è stretto intorno alla chiesa e e sovrastato dal castello ben visibile anche dal lago di Como. Via della Foppa, 2
https://goo.gl/maps/pGq575xd5BmqHX7X9

 

La chiesa fu edificata nell’ultimo quarto sec. XIII e subì una notevole ristrutturazione nel 1570.
Ripresa in età barocca e nuovamente decorata all’inizio del secolo scorso.
La facciata è semplice con una vetrata rettangolare sopra la porta d’ingresso con la figura, moderna, di sant’Antonio abate.

L’interno è di forme dimesse. Sulla parete destra c’è un affresco che, per quanto assai rovinato, presenta la data 1458 e le figure dei Santi Giovanni Battista e Pietro e, a destra, sant’Antonio abate, di ancora accentuato calligrafismo gotico.


Nella parete destra, in una nicchia, la statua di sant’Antonio con saio e cordone, bastone a Tau e libro. Ai piedi un maiale.

L’altare maggiore, settecentesco, con Angeli e colonne tortili, racchiude un trittico cinquecentesco. Nella lunetta, Dio Padre fra i Santi Sebastiano e Bassiano. Nei tre scomparti centrali le figure della Madonna del latte, di Sant’ Antonio abate e di san Martino; nella predella Cristo e gli Apostoli. Mancano l’Angelo annunciante e la Vergine annunciata, citati nella visita pastorale del vescovo Ninguarda. È palese la derivazione dello scomparto centrale dalla Madonna del cuscino dipinta in Francia fra il 1507 e il 1511 da Andrea Solario, ed è stata posta in rilievo l’importanza per antichità (inizi del XVI secolo) di questa copia, per la quale sono stati rilevati modi non lontani da quelli del Stefano da Pianello.
Il tesoro conserva un calice cinquecentesco e una notevole serie di oreficeria barocca.

 

Link:
https://www.emozionidiviaggi.it/cosa-visitare/la-chiesa-di-san-antonio-a-vezio-perledo/

BELLUNO. Musei Civici “Sant’Antonio abate tra i santi Giovatà, Gottardo, Bartolomeo, e Antonio di Padova” di S. da Cusighe

Tavola di 69,8 x 197,5 cm. Firmato dall’autore sotto il trono di sant’Antonio.
Acquistato dal museo nel 1980 (asta da Sotheby’s Londra)

La storia dell’arte bellunese ha idealmente inizio col pittore Simone da Cusighe (documentato tra il 1386 ed il 1409), autore nel 1394 di un Polittico oggi alla Ca’ d’Oro a Venezia, un tempo sull’altare maggiore della chiesa di Col di Salce.

Sembrano far parte della cultura di Simone, tanto il linguaggio emiliano diffuso in Veneto verso la metà del Trecento, da Tommaso da Modena, quanto qualche richiamo alla cultura veneziana e persino padovana di Trecento, visibile per l’appunto negli spazi prospettici della tavola.

A Belluno si conservano un finto polittico (una sola tavola) rappresentante Sant’Antonio abate tra i santi Giovatà, Gottardo, Bartolomeo, e Antonio di Padova, più due pannelli recentemente acquisiti sul mercato antiquario, appartenenti a uno smembrato polittico e rappresentanti Santa Caterina d’Alessandria e San Giovanni Battista.

 

I Musei Civici di Belluno sono aperti al pubblico dal 1876.  La Pinacoteca dal 2017 è situata a Palazzo Fulcis.

 

Link:
https://izi.travel/it/1ed8-simone-da-cusighe-sant-antonio-abate-in-trono-fra-i-santi-gioata-gottardo-bartolomeo-e-antonio-di/it

https://mubel.comune.belluno.it/

http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/scheda/opera/26322/Simone%20da%20Cusighe%20Sant%20Antonio%20Abate%20in%20trono%20

https://it.wikipedia.org/wiki/Simone_da_Cusighe

EMPOLI (FI). Museo della Collegiata, sei opere con sant’Antonio abate, XIV e XV secolo

Le opere sono esposte al Piano primo del Museo, nella Sala dei dipinti secoli XIV e XV e nella Sala del secolo XV.


1) Madonna col Bambino tra i santi Francesco e Giovanni Battista, Andrea e Antonio abate, circa 1330.

Opera del “Maestro del 1310” (attivo tra la metà del XIV e gli inizi del XV secolo
Tempera su tavola; cornice intagliata e dorata. Dimensioni: 111 x 191 cm. Foto in alto. 

La tavola centrale del polittico si presenta oggi priva dell’originaria carpenteria, della cuspide, e separata dai pannelli laterali a seguito di un intervento effettuato in epoca imprecisata. Infatti, mentre i pannelli laterali furono collocati nella raccolta museale fin dalla sua apertura, la Madonna col Bambino rimase fino alla metà del secolo scorso in Collegiata, nella Cappella di Santa Lucia. Solo con il riordinamento del 1956 è stato possibile riunificare l’insieme. Studi recenti ipotizzano che il polittico possa essere stato in origine sull’altare maggiore della Collegiata, vista la presenza, ai lati di Maria, di sant’Andrea e del Battista, qui presente come riconoscimento dovuto alla sede metropolitica fiorentina.
Sant’Antonio abate e san Francesco rimandano invece a due tra i culti più popolari di tutto il Trecento.
La commissione dell’opera potrebbe ricadere già nel plebanato di Matteo di Vanni di Corso, succeduto nel 1337 a Diedi di Corso di Matteo (De Marchi).
Nel dipinto è evidente la cultura del “Maestro del 1310”, che seppe combinare elementi della cultura giottesca con richiami alla coeva arte senese e pisana.
Le figure allungate, racchiuse in una incisiva linea di contorno, il patetismo acceso delle espressioni dei santi e la figura della Madonna col Bambino che si staglia sullo sfondo d’oro, oltre a essere un’estrema elaborazione del prototipo lasciato da Simone Martini sull’altare di Santa Caterina a Pisa e a lungo imitato in zona, collocano l’opera in una fase matura dell’attività dell’anonimo maestro intorno al 1330.

Link:
https://www.empolimusei.it/artwork/annunciazione/

 


2) Madonna col Bambino e i santi Antonio abate e Giovanni Battista e Gregorio Magno e Leonardo, 1385

Opera di Opera di Niccolò di Pietro Gerini (Firenze, notizie 1368 – ante 1416)

Tempera su tavola; cornice intagliata e dorata. Dimensioni: 137 x 182 cm.

Il polittico è pressoché integro, mancando unicamente della cuspide centrale dove probabilmente era effigiato un Padre Eterno benedicente. La foggia semplificata, coi personaggi affacciati a mezza figura dalle nicchie cuspidate, riprende una tipologia in voga agli inizi del Trecento. I santi hanno forme ampie e solide e la loro fissità, rigida, conferisce monumentalità all’insieme.
L’opera, acerba, è riconducibile a Niccolò di Pietro Gerini, pittore prolifico e tra i più significativi rappresentanti di un momento eterogeneo e di transizione della cultura figurativa fiorentina sul finire del secolo XIV, fortemente influenzata dai modelli giotteschi ma pervasa da fermenti di rinnovamento che spingono gli artisti a elaborare composizioni complesse e ispirate a un gusto fortemente decorativo. Nell’opera empolese si può notare, infatti, come l’impianto della Madonna col Bambino centrale richiami noti esempi di Giotto e della sua scuola, mentre i santi laterali, soprattutto sant’Antonio abate (con bastone, libro e barba scura) e il Battista sulla sinistra, assorti e meno espressivi, riflettono i modi arcaizzanti di Andrea Orcagna.
Non è noto a quale altare della Collegiata fosse destinato il dipinto e chi ne fosse il donatore. Più che i santi raffigurati negli scomparti principali può essere d’aiuto la teoria tutta femminile delle sante nella predella: Caterina d’Alessandria, Lucia, Maria Maddalena e Margherita. In quest’ottica, potremmo ipotizzare che a commissionare l’opera sia stata la compagnia muliebre dell’Annunziata, istituita presso l’omonimo altare della Confraternita di Sant’Andrea nel 1366 e sopravvissuta fino al 1427.
Iscrizioni: ECCE AGNUS DEI ECE QUI TOLLIS (sic) PECHATA MUNDI (nel cartiglio del Battista)

Link:
https://www.empolimusei.it/artwork/madonna-col-bambino-e-i-santi-antonio-abate-e-giovanni-battista-gregorio-magno-e-leonardo/

 


3)  Madonna col Bambino tra i santi Antonio abate, Caterina, Girolamo e Giovanni Battista, 1380 – 1385

Opera di Agnolo Gaddi (Firenze, notizie 1369 – 1396)

Tempera su tavola. Dimensioni: 129 x 180 cm.

Il trittico proviene dall’oratorio soppresso di San Mamante e manca della cuspide centrale dove, con tutta probabilità, doveva figurare un Eterno benedicente o una Crocifissione. L’atteggiamento colloquiale dei personaggi, le raffinatezze di esecuzione – si noti in particolare la ricchezza delle vesti di santa Caterina e del Bambino, il delicato motivo ornamentale che profila i bordi dei manti – e la gamma cromatica teneramente graduata – nella contrapposizione di toni caldi e freddi – annunciano, in quest’opera di Agnolo Gaddi, la stagione tardogotica anche se la salda impostazione delle figure e certe asprezze nelle fisionomie collocano il pittore nel solco della tradizione neogiottesca di fine Trecento.
Sant’Antonio, a sinistra, con bastone e libro, ha la consueta barba bianca.
Questo trittico e quello simile del Gerini, conservato nel Museo, hanno misure analoghe e propongono identiche teorie di Santi. Tali elementi, come l’importanza di un pittore come Agnolo (figlio di Taddeo, uno dei principali esponenti della bottega di Giotto), che pochi anni dopo sarebbe stato chiamato ad affrescare la cappella maggiore di Santa Croce a Firenze, hanno indotto a dubitare dell’originaria destinazione del trittico all’oratorio periferico di San Mamante. Sembra più probabile che appartenga al generale riallestimento della Collegiata, in corso allo scadere del Trecento, i cui altari più o meno delle stesse dimensioni, avranno accolto polittici simili (De Luca).

Link:
https://www.empolimusei.it/artwork/madonna-col-bambino-tra-i-santi-antonio-abate-caterina-girolamo-e-giovanni-battista/

 


4)  “Madonna dell’Umiltà” tra i santi Donnino e Giovanni Battista, Pietro e Antonio abate, (“trittico di San Donnino”), 1404

Opera di Lorenzo Monaco (Firenze, 1370 ca. – 1425)

Tempera su tavola di 157 x 197 cm. Proviene dalla Chiesa di San Donnino.

Sant’Antonio abate è all’estrema destra, con bastone a Tau e barba scura. Un piccolissimo maiale nero è dietro di lui.
Il trittico rappresenta un testo fondamentale per comprendere gli esiti della pittura fiorentina nei primi anni del Quattrocento. La data 1404, che compare nello scomparto centrale, è la stessa in cui il monaco camaldolese eseguiva la Pietà del Museo dell’Accademia di Firenze un dipinto che, diversamente da quello empolese, risulta ancora fortemente intriso della cultura di ascendenza giottesca, sopravvissuta per circa un secolo grazie alla lezione dell’Orcagna e dei suoi seguaci. La svolta che Lorenzo Monaco compie nel trittico di Empoli si spiega sia con l’influenza che esercitarono su di lui gli affreschi dello Starnina in Santa Maria del Carmine a Firenze (1404), sia con l’avvio del cantiere della porta nord del Battistero di Firenze (1403) sotto la direzione di Lorenzo Ghiberti.
La Madonna col Bambino al centro del dipinto è accomodata su un cuscino raffinatamente decorato in luogo del trono, ci appare come Madonna dell’Umiltà, un tema di origine senese che accentua il tono devozionale e domestico dell’immagine sacra. Accanto a lei si dispongono i quattro santi: san Donnino, titolare della chiesa di provenienza, san Giovanni Battista, san Pietro e sant’Antonio abate.
La falcata diagonale del manto che avvolge la slanciata figura di san Giovanni e che ricade frastagliato a terra, l’andamento tortuoso del manto di Maria richiamano i personaggi delle formelle del Ghiberti mentre la gamma cromatica scelta e vivace e soprattutto lo scatto del bimbo che pare colto nella flagranza del movimento, sono eco della lezione dello Starnina, e dunque delle istanze di gusto internazionale.
Da questo dipinto prende avvio la fase più matura dell’artista, quella dei grandi polittici oggi conservati agli Uffizi e all’Accademia e delle deliziose miniature dei corali di Santa Maria degli Angeli, in cui appaiono, in un trionfo di colori e di ori lavorati a bulino, alcune delle più eleganti invenzioni della pittura di quel momento.
Iscrizioni: AVE.MARIA.GRATIA PLENA.DNS.TECUM.ANO.DI.MCCCCIIII (alla base del pannello centrale); S.DOMNINUS.M / S.IONES.BAPTSTA (alla base del pannello laterale sinistro); S.PETRUA.APOSTOLUS / S.AMTONIUS.ABB (alla base del pannello laterale destro)

Link:

https://www.empolimusei.it/artwork/madonna-dellumilta-tra-i-santi-donnino-e-giovanni-bassista-pietro-e-antonio-abate-nelle-cuspidi-angelo-annunciante-e-vergine-annunciata/

 


5) Sant’Onofrio, sant’Antonio e san Martino di Tours, 1370 -1375

Opera di Cenni di Francesco di Ser Cenni (Firenze, notizie 1369 – 1415 ca.)

 

Tempera su tavola di 66 x 26 cm.

Le due tavole – l’altra raffigura Santa Caterina d’Alessandria, santa Lucia ed altra Santa – erano  le ante di un piccolo trittico la cui parte centrale è dispersa e fanno parte della collezione del Museo fin dalla sua apertura, donati da Raimondo Cannoni.
Le fisionomie dei personaggi e la grazia rustica delle sante sono indici della lingua fresca e vivace di Cenni, la cui attività si concentrò specialmente in Valdelsa. Opere sue si trovano infatti a Castelfiorentino, nel museo di Certaldo e in quello di Montespertoli. A Empoli eseguì un’Annunciazione, a fresco, che gli fu commisionato dalla Confraternita della Nunziata per il proprio oratorio nella chiesa di Santa Maria a Cortenuova.
La necessità di adeguare la cultura figurativa di Agnolo Gaddi e di Nardo di Cione alle aspettative di una committenza tradizionalista hanno contribuito a dare alle opere di Cenni quel carattere popolaresco che costituisce, con ogni probabilità, il principale fascino della sua arte.


Link:

https://www.empolimusei.it/artwork/santa-caterina-dalessandria-santa-lucia-ed-altra-santa-santonofrio-santantonio-e-san-martino-di-tours/


6) San Giovanni battista e sant’Antonio abate, 1420

Opera di Scolaio di Giovanni alias Maestro di Borgo alla Collina (Firenze, 1370 ca. – 1434)

Tempera su tavola e cornice intagliata e dorata, 140 x 55 cm.

Il pannello cuspidato, assieme all’altro che raffigura “Sant’Ivo e san Lazzaro”, mancati della tavola centrale, figurano tra le prime opere giunte in Pinacoteca e furono eseguite da Scolaio di Giovanni, uno degli «sventati calligrafi» rimasti impermeabili, tranne per alcune riprese superficiali, alle novità rinascimentali e fedele imitatore dei modi dello Starnina.
Il trittico era destinato alla cappella di Sant’Ivo, fondata nel 1424 da Antonio di ser Martino Paglia. Il santo bretone, infatti, appare in posizione d’onore, accanto a san Lazzaro.
La lingua di Scolaio traspare dalle fisionomie un po’ bizzarre dei quattro santi, dal gusto per dettagli ornamentali e nei panneggi abbondanti e fitti di pieghe che ricadono mollemente al suolo. Iscrizioni nelle predelle: “S.IVO DI BRETAGNA S. LAZARO S. GIOVANNI S. ANTONIO”.
Sant’Antonio – barba scura e saio chiaro con mantello nero – tiene un libro rosso con la mano sinistra stranamente coperta dal mantello e con la destra il bastone a stampella.


Link:

https://www.empolimusei.it/artwork/santi-ivo-e-lazzaro-giovanni-battista-e-antonio-abate-nelle-cuspidi-teste-angeliche-tavola/

 


Fondato nel 1859, il Museo della Collegiata è uno dei più antichi musei ecclesiastici d’Italia. Si trova nell’antico Palazzo della Propositura attiguo alla Collegiata di Sant’Andrea e conserva diversi capolavori databili tra il XIII e il XVII secolo provenienti dalle chiese del piviere empolese.
Il percorso inizia al piano terra, dove, oltre ad alcune opere scultoree di grande pregio, come l’elegante Madonna col Bambino di Mino da Fiesole, sono esposti il Fonte battesimale attribuito a Bernardo Rossellino e lo straordinario affresco staccato raffigurante il Cristo in pietà di Masolino da Panicale. A Empoli, altre testimonianze dell’opera di questo celebre artista  si possono trovare nella Cappella di Sant’Elena della vicina Chiesa di Santo Stefano degli Agostiniani, parte del percorso museale.
Al piano nobile è allestita la pinacoteca dove i dipinti sono presentati in ordine cronologico: dalle opere più antiche a quelle pienamente quattrocentesche fino ad arrivare alle opere dei Botticini, famiglia di pittori attiva fino ai primi decenni del Cinquecento.

PISTOIA. ex Chiesa del Tau e convento di Sant’Antonio abate, con affreschi

Corso Silvano Fedi, 28
https://goo.gl/maps/697nwhHvNGSoJ1VT7

 

Nel 1361 fu approvato il progetto di costruzione nel territorio parrocchiale di San Giovanni Fuorcivitas a Pistoia, presentato da fra Giovanni Guidotti, precettore della magione dell’Ordine Antoniano di Sant’Antonio di Firenze, e poi fu fondata la chiesa con l’annesso convento, detto del Tau (l’emblema dell’ordine Antoniano), sempre con il beneplacito dell’Abate generale dell’Ordine Antoniano e il riconoscimento del diritto di patronato ai fondatori e ai loro discendenti.
Il culto di sant’Antonio, pur nell’assenza dei frati, rimase attivo grazie alle feste sacre e profane a lui connesse come attestano documenti delle visite pastorali datate alla seconda metà del 1500. Nel secolo successivo assistiamo al deterioramento dei costumi della Precettoria Pistoiese in concomitanza con l’arrivo dei Querci a Pistoia e all’ampliamento dei beni della chiesa di Sant’Antonio abate tra cui poderi e magioni.
Il convento aveva anche annessi un ospedale e di un oratorio.

L’intero complesso conventuale subì nel corso dei secoli notevoli trasformazioni. A seguito della soppressione dell’ordine, avvenuta nel 1774, l’edificio venne venduto a privati cittadini che frazionarono lo spazio ricavandone appartamenti. Questa condizione perdurò fino agli anni ’80 del 900, quando il convento venne restaurato, restituendo al complesso il suo originario assetto spaziale. Recentemente anche il convento, o Palazzo del Tau, è stato recuperato e dal 1990 ospita la Fondazione Marino Marini che accoglie opere (sculture, dipinti, disegni) dell’artista pistoiese. Anche nella chiesa sono esposte alcune opere monumentali del Marini.

L’edificio è costituito da tre spazi principali: il giardino coperto (originariamente l’orto del convento), il convento con il chiostro (anch’esso coperto) e la chiesa.
La chiesa è caratterizzata da un’unica navata suddivisa in tre campate con volta a crociera e presenta un presbiterio sopraelevato; da questa si accede alla sottostante cripta, caratterizzata da quattro vele che poggiano su di un pilastro centrale.
Sulle pareti della chiesa si sviluppa un interessante ciclo di affreschi. Databile al 1372, è opera del fiorentino Niccolò di Tommaso (allievo di Nardo di Cione e attivo tra il 1346 e il 1375) che si avvalse della collaborazione del pistoiese Antonio Vite, allievo di Gherardo Starnina. Queste pitture dichiarano l’aderenza ai modi della scuola dell’Orcagna, e si caratterizzano per il minuzioso programma iconografico, dagli evidenti scopi didascalici ed educativi, con storie tratte dal Vecchio Testamento, dal Nuovo Testamento e dalla vita di Sant’Antonio abate. L’intero complesso denuncia forti tangenze con la cultura fiorentina, ben evidenti nell’impiego della pietra forte, unico esempio di tal genere in città.
Le pareti della chiesa sono divise in tre fasce; nella più alta, corrispondente alle lunette sotto le 12 volte, sono raffigurati episodi dell’Antico Testamento. La dettagliata rappresentazione iconografica è resa con grande chiarezza e semplicità per rendere leggibile ai fedeli le finalità dell’opera dell’ordine Antoniano.  che si aprono con la costruzione dell’arca di Noè, il diluvio universale e l’ebbrezza di Noè e proseguono poi con la costruzione della torre di Babele ed episodi della vita di Abramo e Lot, di Isacco e di Giacobbe, con una vivace narrazione figurativa ricca di dettagli, che restituiscono un’immagine quanto mai viva della vita medievale, come ad esempio nell’alacre famiglia di artigiani e nella vagliatura del grano raffigurate nella vela con il Dominio dei giganti sugli uomini, mentre nella lunetta che illustra il Sacrificio di Abramo, Sara e le sue schiave sono ritratte in una laboriosa dimensione domestica.
Il registro centrale è dedicato alla vita di Cristo, dall’annuncio a Gioacchino e Anna della nascita di Maria fino alla Trasfigurazione di Cristo, privilegiando le storie dell’infanzia. La ricorrente presenza della figura di Pietro (Vocazione di Pietro, la Tempesta sedata e la sua presenza nella scena della Trasfigurazione) può essere letta quale segnale del rapporto privilegiato tra gli antoniani e il potere pontificio, che favorì largamente l’ordine, tanto che già dalla metà del Duecento i frati antoniani gestivano l’assistenza ospedaliera della corte pontificia.

Infine, nel registro inferiore sono raffigurate le Storie di Sant’Antonio abate e la Leggenda della traslazione delle sue reliquie, secondo un racconto in cui il programma iconografico sembra accentuare l’attenzione per gli aspetti della vita comunitaria, tralasciando i più consueti modelli iconografici legati alla figura del Santo, cioè l’esperienza ascetica nel deserto della Tebaide e in particolare le tentazioni demoniache.
Qui le vicende del Santo eremita sono descritte a partire dalla sua vocazione, che si compie nell’Ascolto del passo del Vangelo e nella successiva Elemosina ai bisognosi; l’ambientazione è in una piccola chiesa, dove sopra la mensa dell’altare con il Vangelo aperto è posto un trittico con al centro la Vergine, un vero e proprio polittico trecentesco ‘dipinto nel dipinto’.

Il racconto prosegue con episodi della vita del Santo e dei compagni raccolti attorno a lui, l’incontro con Paolo eremita, la morte e la sepoltura ad opera dei suoi compagni, che qui sono raffigurati con l’abito antoniano.
Una seconda serie di scene descrive il recupero del corpo di Sant’Antonio per volontà dell’imperatore bizantino Costante e il suo trasporto a Costantinopoli, dove si compie il miracolo della guarigione della figlia dell’imperatore, segno esplicito delle capacità taumaturgiche delle reliquie e quindi elemento fondativo dell’ordine Antoniano, che proprio dalle reliquie successivamente traslate in Francia presso la casa madre di Vienne traeva la consacrazione dei medicamenti applicati ai malati di ‘fuoco sacro’ .
L’ultima scena, posta al termine della parete sinistra della chiesa, descrive la vita dei canonici antoniani e la loro attività terapeutica; sulla sinistra, un gruppo di religiosi sostiene un giovane e applica sul suo corpo un unguento, mentre un altro religioso tiene in mano un’ampolla. È la raffigurazione, con tutta probabilità, delle terapie attuate dagli antoniani per i malati del ‘fuoco di Sant’Antonio’, ovvero l’applicazione del balsamo ricavato dal grasso di maiale e la somministrazione della pozione che veniva consacrata direttamente dalle reliquie del santo.
A destra, sullo sfondo di un tabernacolo in cui è raffigurato Sant’Antonio, un religioso antoniano mostra una cassa che contiene tre mani e due piedi, forse ex voto di malati miracolosamente guariti o invece veri e propri arti amputati dall’ignis sacer, testimonianza drammatica delle conseguenze della malattia e come tale esibiti, a titolo di duro ammonimento e di esortazione alla devozione per il santo eremita e i suoi religiosi.

Link:
https://www.discoverpistoia.it/20-01-chiesa-sant-antonio-abate-o-del-tau/