TEOLO (Pd). Oratorio di Sant’ Antonio abate

Brevissima passeggiata senza alcuna difficoltà adatta soprattutto nel periodo invernale e primaverile. Da Teolo si sale ancora seguendo le indicazioni per “Monte della Madonna” (Santuario), dopo alcuni ripidissimi tornanti si sbuca all’evidente slargo del Passo delle Fiorine, in vista del monte Madonna, dove si trovano ampi parcheggi e area attrezzata per pic-nic a cura dell’Ente Parco Colli Euganei.
Di domenica, specie a primavera, il posto è frequentatissimo. La strada per Teolo, e anche verso il monte Madonna, è percorsa da tantissimi ciclisti. Dopo aver parcheggiato procedere per un centinaio di metri fin dopo il ristorante Baita Fiorine da dove, subito dopo sulla sinistra, si stacca una stradina con una evidente indicazione per la chiesetta di Sant’Antonio abate.
La passeggiata è breve e facile, richiede circa un quarto d’ora. Poco prima di arrivare alla chiesetta si trova un bel terrazzo panoramico tra alcune roccette e una brevissima discesa.
Interessante la flora mediterranea che vegeta attorno: esemplari di fichi d’India e di cisto femmina.

Via Trespole.  https://goo.gl/maps/TAgg45uVerrtiHGGA

 

Una leggenda vorrebbe che in una grotta che si trova al fianco sud del Monte si sia rifugiata ed abbia vissuto Santa Felicita, il corpo della quale si venera nella basilica di Santa Giustina in Padova.
Oltre alla grotta vi si trova una chiesetta dedicata a S. Antonio abate; a questa nei secoli passati era unito un eremo. Apparteneva ai monaci di Santa Giustina e ciò lo ricorda anche lo stemma che si trova sulla sua porta.
All’interno, sull’altare, una statua di Sant’Antonio Abate.
La festa di Sant’Antonio Abate, presso l’omonimo Oratorio, si tiene il 20 gennaio ed è curata dall’associazione ‘Amici dell’Oratorio’.

 

Link:
https://www.collieuganei.it/chiese/chiesetta-sant-antonio-abate/?action=getVirtualtour

Rilevatore:
Ersilio Teifreto, Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 05/07/2013

 

EGITTO. Sant’Antonio nel deserto: viaggio nell’Egitto dei Copti.

In un’oasi del profondo Deserto Orientale egiziano ai piedi del monte sorge uno dei monasteri più antichi della cristianità…
Seduto su una panca osservo la stanza. In alto la vecchia foto di un abba (dall’aramaico apa, titolo che veniva usato in segno di rispetto per i monaci anziani) e sopra un piccolo crocefisso. Appoggiate alle pareti alcune sedie.
Gli antesignani del minimalismo devono essere passati tra queste bianche mura secolari che odorano di calce…
Sono nell’astanteria dell’antica casa di accoglienza del monastero di Sant’Antonio, nel Deserto Orientale egiziano.
Per raggiungerlo, partendo dal Cairo, si percorre un’autostrada appena costruita che conduce a Sukhna sul mar Rosso; da qui, lungo la litoranea, si arriva a Zafarana e quindi (35 km nel deserto verso l’interno) al monastero.
Appena tre ore di viaggio: anche questo luogo santo, sorto più di millecinquecento anni fa in un’area lontanissima e desolata è ora facilmente raggiungibile. Ciò ha tolto un po’ di fascino al viaggio, ma non al luogo che conserva intatta la sua suggestione.
Padre Antony Ruwais, il monaco copto che mi accompagna, parla del monastero.
La costruzione iniziò negli anni successivi alla morte del Santo per opera dei suoi discepoli, ai tempi dell’imperatore Giuliano l’Apostata (361-363). Sorge ai piedi del Gebel al Galala al Qibliya, la seconda montagna più alta d’Egitto (1218 metri) dove Antonio trascorse cinquant’anni di vita ascetica.
Nato intorno al 250 in un villaggio vicino a Beni Suef, nel Medio Egitto, morì nel 356 all’età di 105 anni. Così la tradizione.
È considerato il padre fondatore del monachesimo, anche se non ne è stato l’iniziatore.

Il mondo copto in un affresco.
Il monastero è chiuso in una grande cinta alta dieci metri con un camminamento che la percorre tutta. Tra gli edifici monastici la chiesa di S. Antonio (la più antica) merita un’attenzione particolare. La struttura attuale è del XII-XIII sec., ma la fondazione risale ai primi insediamenti dopo la morte del santo. E’ costituita da una navata a due campate, un coro e un santuario tripartito dedicato rispettivamente ai santi Marco, Antonio e Anastasio. Dal lato sud si accede alla cappella dell’Apocalisse. Questa chiesa di modeste dimensioni conserva il più completo ciclo pittorico (1230-1231) del mondo copto. Sulle pareti sono affrescati santi guerrieri a cavallo in abbigliamento militare, arcangeli, raffigurazioni della Vergine con il Bambino, Cristo in Maestà e i più famosi santi d’Egitto (Antonio, Bishoi, Mosè il Nero, Macario, …) e poi patriarchi, profeti e le creature dell’Apocalisse a fianco della Vergine e di S. Giovanni Battista, davanti alla figura di Cristo benedicente.
Ho il privilegio di visitare in solitudine questo gioiello dell’arte copta restituito allo splendore originale da restauratori italiani nel 1999 e provo una forte emozione: anche il non credente subisce il fascino del sacro attraverso la bellezza dell’arte che lo rappresenta.

Sant’Antonio e il deserto: miracoli di ieri e di oggi.
La torre che si trova a fianco, anch’essa uno degli edifici più antichi del monastero (VI sec.), accoglieva i monaci in situazione di pericolo, mettendoli al riparo dai predoni del deserto.
Vi sono poi le chiese degli apostoli Pietro e Paolo, della Vergine e di San Marco, quest’ultima immersa nel bellissimo palmeto sempre all’interno alle mura.
Sul lato sud è la “sorgente di S. Antonio” con l’acqua che “miracolosamente” esce da una fenditura nella roccia e ancora permette la vita.
Fuori, in alto sul fianco della montagna, c’è la grotta dove il Santo visse e morì in solitudine.

Il saluto di Antony.
Davanti all’ingresso del monastero, in una grande costruzione che ricorda i refettori delle nostre vecchie colonie estive, tra file di tavoli e lunghe panche, in un recipiente di alluminio mi viene offerta una minestra di lenticchie e ceci, il pasto del pellegrino.
Nel grande capannone trovano ristoro dalla fatica e dal sole implacabile le migliaia di devoti che durante la festa del Santo arrivano da tutto l’Egitto.
Mentre saluto, abba Antony mi prende la mano e con un pennarello traccia sul palmo un volto stilizzato con sopra una croce e “God is Love“. E’ il suo saluto.
Rientro al Cairo percorrendo la camionabile sorta sull’antica pista che attraversava il deserto fino a Beni Suef – è più lunga e accidentata, ma la preferisco – e la mente torna a quel monaco che con fare semplice ma ha permesso di visitare quel luogo santo di cui è custode.
Provo già nostalgia per quella serenità e un po’ di invidia per le sue certezze.

Autore: Maurizio Zulian, collaboratore del Museo Civico di Rovereto

Fonte: Archeologia Viva, Rivista: N. 160-2013 mese: Luglio-Agosto 2013.

Didascalia immagine: Il monastero di Sant’Antonio, nel deserto orientale egiziano, ai piedi del Gebel al Galala al Qibliya.

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data compilazione scheda: 01/07/2013

Articolo correlato: EGITTO. Il Monastero di Sant’Antonio.

 

TRICARICO (Mt). Chiesa di S. Antonio Abate

 

Ubicata extra moenia era punto di ristoro per i pellegrini in viaggio verso la Terra Santa.
Anticamente dedicata alla Madonna dell’Olivo, è documentata dal Trecento.


Sulla facciata, una statua di sant’Antonio abate.
Si presenta con una struttura a tre navate.
Nella navata destra esiste una lapide marmorea che specifica le reliquie dei santi custodite nella chiesa tra i quali quelle di S. Antonio Abate e quelle di S. Potito. Queste ultime sono state poi traslate nella cattedrale cittadina ove sono tuttora custodite.
A questa chiesa è legata l’antica tradizione delle Maschere di Tricarico.
Il carnevale di Tricarico, caratterizzato dalle maschere delle mucche e dei tori (Le màscechere, nel dialetto tricaricese) che rappresentano una mandria in transumanza, è insieme al carnevale di Satriano, una delle manifestazioni più importanti della regione.

All’alba del 17 gennaio, giorno in cui i cattolici ricordano Antonio abate, il santo protettore degli animali, è usanza che i fedeli, insieme ai propri animali per i quali si invoca la benevolenza del santo e che per l’occasione vengono agghindati con nastri, collanine e perline colorate, compiano tre giri intorno alla chiesa a lui dedicata per poi ricevere, a chiusura della messa, la benedizione da parte del prete.

 

Rilevatore: Ersilio Teifreto

Data ultima verifica sul campo: 31/05/2013

CEGLIE MESSAPICA (Br). ex Chiesa di sant’Antonio abate

 

Secondo Rocco Anthelmy (1834 – 1917), tra i primi studiosi della storia di Ceglie Messapica, l’antica Cappella di sant’Antonio Abate risalirebbe all’epoca di Costantino Magno (Editto di Milano, 313 d. Cr.), per avere incise, sull’architrave della porta d’ingresso, le lettere I.H.S.V. (In hoc signo vinces).

 

Nell’odierna Piazza di sant’Antonio, o comunque nelle sue immediate vicinanze, nel XV secolo, insisteva probabilmente, un complesso ospedaliero extra moenia intitolato a sant’Antonio. Cursia sant’Antonio, infatti, ha proprio il significato di Corsia d’ospedale.
Nella chiesa di sant’Antonio Abate, così come in altre presenti sul territorio cegliese, nei primi anni di vita, veniva officiata l’Eucarestia secondo il Rito greco, dovuto al fatto che la cultura bizantina era ancora molto radicata nella tradizione locale.
Le cose cambiarono nel momento in cui giunsero in Puglia i Normanni, i quali crearono forti organismi politici ed avviarono il processo di latinizzazione a partire dal pontificato di Gregorio VII (1073 – 1085), riducendo, progressivamente, la presenza del clero Greco.

 

Note storiche:
La chiesetta, più recente rispetto alla data dell’editto, va annoverata tra gli edifici di culto più antichi della città. La sua edificazione é ascrivibile al periodo altomedievale (X secolo); essa era dedicata a sant’Antonio Abate, il quale a Ceglie Messapica, fino a non poco tempo fa, era conosciuto anche come sant’Antonio di Vienna.
Negli atti notarili custoditi presso l’Archivio di Stato di Brindisi, infatti, viene tramandato come il Santo di Vienna. Questo per la molto probabile stortura del luogo in cui in cui sono custodite le reliquie del santo, vale a dire nella chiesa di saint’Antoine a Vienne, in Francia. Pertanto la pronuncia francese deve aver tratto in inganno i primi studiosi. Il santo è molto radicato nelle tradizioni popolari al punto che, intorno a costui sono nati alcuni proverbi popolari: “da sand’Anduèn masckr’ j – ssuen’ (Da sant’Antonio Abate maschere e suoni), volendo con ciò significare l’inizio dei festeggiamenti in onore del Carnevale.
Egli fu venerato dal popolo, il quale faceva a lui ricorso contro la peste, lo scorbuto e contro tutti i morbi contagiosi. Lo sviluppo del culto popolare per sant’Antonio abate fu dovuto alla sua fama di guaritore dell’herpes zoster, popolarmente conosciuta come “fuoco di sant’Antonio”.
In onore di sant’Antonio abate, la sera antecedente la ricorrenza della festa (17 gennaio), venivano accesi, per le strade della città, grossi falò, una consuetudine, questa, che è andata, col tempo, scemando. La popolarità del culto favorì, tra l’altro, la consuetudine di intitolare al Santo ospedali, chiese, confraternite ed edicole votive.

Ultimo cappellano di questo antico edificio di culto fu don Massimino Gioia il quale, nel 1904, l’aveva ristrutturato a sue cure e spese come riferisce anche l’iscrizione in lingua latina su lapide: “Hanc aedem s. Antoni abatis iam pridem in precarium usum conversam sac. Maximinus Gioia recuperavit restituit in integro atque esornavi an. Cristiano MCMIV” (“Questo Tempio di sant’Antonio abate già da molto tempo volto a un uso precario il sacerdote Massimino Gioia riportò alle condizioni di prima, restaurò completamente e abbellì nell’anno di Cristo 1904”).
Oggi, delle antiche fattezze della chiesa non rimangono che la facciata e alcuni affreschi all’interno, risalenti al XVIII secolo che ritraggono scene di vita di santi.
La cappella, una volta abbandonata, è divenuta, oggi, parte di un complesso di ristorazione.

 

Bibliografia:
 – Conte, Is. – Scatigna Minghetti, G. (1987), Ceglie Messapico. Arte – ambiente – monumenti, Martina Franca, Nuova Editrice Apulia.
– Scatigna Minghetti, G. (2008), Ceglie Messapica, in La Via di Maria. Fede, Arte, Storia. Percorsi Mariani nella Diocesi di Oria, Manduria, pubblicazione a cura dell’Azione Cattolica Italiana, Diocesi di Oria.

Rilevatore: Ersilio Teifreto

Data ultima verifica sul campo: 31/05/2013

TALMASSONS (Ud), fraz. Flambro. Chiesa di S. Antonio abate.

Chiesetta campestre dedicata a S. Antonio abate, fu un tempo la chiesa del villaggio di San Vidotto, piccolo borgo di origine romana, distrutto nel 1477 dai Turchi.
La chiesetta attuale risale al XVIII secolo.
Presenta aula rettangolare e abside quadrata con volte a crociera. La semplice facciata è caratterizzata da un tettuccio posticcio collocato sopra la porta d’ingresso su cui è dipinto un affresco che raffigura sant’Antonio abate, di Giovanni Toneatto, eseguito sulla base del precedente di Antonio Senci. Sul tetto c’è la bifora campanaria.
Fino a qualche anno fa erano visibili gli affreschi settecenteschi realizzati da Pietro Venier.
Tuttora si conservano gradevoli ex voto della passata devozione al Santo.
Una targa ricorda l’ultimo restauro, dopo il terremoto del 1976, ad opera del Gruppo Alpini di Flambro.
Tutto intorno alla chiesetta affiora una grande quantità di materiale archeologico.

All’interno, sull’altare, una statua di sant’Antonio abate con gli attributi  abituali (vedi immagine sotto).

Info:
via S. Antonio – Flambro – Talmassons – UD

Bibliografia:
– T. Cividini, Paola Maggi, Presenze romane nel territorio del Medio Friuli 6. Mortegliano Talmassons, 1999, p. 167.
https://www.archeocartafvg.it/

Allegato: sant antoni.pdf 
Vedi anche: San Vidotto

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 28/04/2013