UDINE. Duomo, pala di Giovanni Martini, con “Santi… e sant’Antonio abate”

Duomo di Udine, primo altare della navata sinistra, detta Cappella di San Marco.

Titolo dell’opera: San Marco e i santi Stefano, Giovanni Battista, Girolamo, Ermagora, Antonio Abate e il beato Bertrando (1501).

L’autore è Giovanni Martini, che nacque probabilmente a Udine da Martino Mioni da Tolmezzo, fratello di Domenico e come lui scultore e intagliatore, ma non adottò mai il cognome Mioni e nei documenti viene citato con il patronimico «Martini» (o «de Martinis») che passerà poi alle figlie (Joppi, 1887, p. 26).
Non si conosce la data esatta della sua nascita che può ipoteticamente fissarsi tra il 1470 e il 1475 in base alle prime testimonianze documentarie.
Non essendo certa l’identificazione del M. con il «magister Zuan» citato con Pellegrino da San Daniele nel 1493 per dei perduti affreschi a Gemona (Bergamini Ponta, p. 5 n. 2), la prima notizia sicura su di lui risale al 12 ott. 1497, quando, definito «magister», compare come testimone nei testamenti di Pellegrino da San Daniele e di sua moglie (Joppi, 1890, p. 15).
La sua prima opera nota è la Sacra Famiglia con Simeone (Venezia, Civico Museo Correr), firmata e datata 1498, che mostra una formazione fortemente legata alla lezione di Alvise Vivarini.

Nel 1500 Antonio Loredan, luogotenente del Friuli, e il Consiglio di Udine fecero erigere nel duomo della città la cappella di S. Giuseppe commissionando la pala d’altare e quella della vicina cappella di S. Marco rispettivamente a Pellegrino da San Daniele e al M. che realizzò il dipinto, firmato, con S. Marco in trono tra santi.
I dipinti erano sicuramente già in opera il 12 luglio 1501 quando, in una lettera del decano del capitolo del duomo di Udine, Giacomo Gordino, al patriarca di Aquileia Domenico Grimani, l’opera del M. è molto criticata per l’aspetto marziale dato al s. Marco dove, probabilmente, è da riconoscersi il ritratto dello stesso Loredan (Gentili) (vedi note).


Il 17 luglio 1502 il M. realizzò un altare per la Fraternita di S. Maria di Castello a Udine, per la quale aveva già lavorato l’anno precedente e per la quale nel 1505 avrebbe realizzato anche un perduto gonfalone (Bergamini, 1999, p. 185).
Il 21 ag. 1503 stipulò un contratto con Antonio Manzignel, camerario della Fraternita di S. Orsola della chiesa di S. Pietro Martire di Udine per un dipinto per l’altare della santa (Joppi, 1887, pp. 37 s.). L’opera, oggi smembrata, era composta da una cornice intagliata e dorata, dalla tela con S. Orsola e le sue compagne (Milano, Pinacoteca di Brera), da una lunetta con S. Domenico coronato dagli angeli (Udine, Museo civico) e da una predella con le storie della santa, oggi perduta, e di cui è nota solo in fotografia la scena con il Martirio (Bergamini Ponta, p. 21), ricordata da Cavalcaselle (1876, p. 35) in collezione Florio a Udine. Terminata nel 1507, come dichiara un’iscrizione sulla parte centrale, mostra un progressivo avvicinamento del M. alla pittura di Cima da Conegliano (Giovanni Battista Cima) e di Vittore Carpaccio, evidente anche nella Presentazione al Tempio (Spilimbergo, duomo) commissionatagli per la cappella della Purificazione dal nobile Paolo di Spilimbergo, la cui morte nel 1508 costituisce un plausibile termine ante quem per il dipinto (Furlan, 2005, p. 39).
Distinta ormai la sua personalità da quella di Giovanni Battista da Udine (A. Serafini, in Diz. biogr. degli Italiani, LVI, Roma 2001, pp. 315-317), sembrano da espungere dal catalogo del M. il Cristo morto sorretto da angeli (Baltimora, Walters Art Gallery), il S. Giovanni Battista (Firenze, Confraternita della Misericordia) e la Madonna con Bambino e quattro sante (San Pietroburgo, Ermitage: Fossaluzza, p. 60); mentre è ancora dibattuta l’attribuzione della lunetta con S. Benedetto benedice Benedetto dal Colle (Udine, Museo civico), proveniente dalla chiesa di S. Pietro Martire (Bergamini, 2002, p. 106).
Dal 1504 il M. fu membro della Confraternita di S. Cristoforo a Udine di cui, negli anni successivi, sarebbe stato più volte camerario (Bampo, pp. 141, 143 s., 148, 158) e per la quale realizzò nel 1508 un gonfalone oggi perduto (Joppi, 1894, p. 37, citato erroneamente come 1598).
Dopo la morte della prima moglie, Valentina, che fece testamento il 23 giugno 1511 in occasione della peste a Udine, il M. si risposò il 2 febbr. 1517 con Francesca di ser Andrea da cui avrà sette figlie (Id., 1887, pp. 29 s.).
Nel corso del primo decennio del secolo, il M. cominciò a dedicarsi anche alla scultura in legno. Una tradizione di famiglia seguita dai suoi tre fratelli e dai loro figli (ibid., pp. 43-59), che avrà un peso sempre maggiore nella sua bottega, in particolare dopo la morte del padre e dello zio Domenico nel 1507.
Le numerose ancone in legno, le statue e le decorazioni realizzate per le chiese del Friuli e testimoniate dai documenti sono oggi in buona parte perdute o frammentarie (Marchetti – Nicoletti, pp. 130-132).
Resta però un significativo gruppo di altari monumentali, di cui il primo dovrebbe essere l’altare maggiore della chiesa di S. Stefano di Remanzacco (oggi nella parrocchiale), non documentato, ma databile intorno al 1510-15 (Bergamini, 1986, p. 48).
Costituito da una struttura a due registri con i santi inseriti in scomparti, una cimasa e una cornice intagliata con paraste decorate all’antica, presenta particolari tecniche di decorazione delle superfici caratteristiche dei lavori del M.: il Pressbrokat, che imita il broccato delle stoffe, e la Lüstertechnik, che simula l’effetto dello smalto traslucido (G. Perusini – T. Perusini, in Bergamini, 1986, pp. 71-98).
Lo stesso schema è riproposto nell’altare di S. Maria delle Grazie a Prodolone di San Vito al Tagliamento, anche questo non documentato, ma databile al 1515, quando il M. risulta lavorare nella chiesa per eseguire due candelabri in legno (Joppi, 1887, p. 30).
Sempre al 1515 è datato il dipinto con la Presentazione al Tempio (Portogruaro, duomo) proveniente dalla chiesa di S. Francesco, con un cartiglio lacunoso, segnalato da Cavalcaselle (p. 36 n. 12) e interpretato da Sedran come un’indicazione di firma e data.
Tra il 1518 e il 1522 eseguì la pala con la Vergine con il Bambino e i ss. Paolo, Sebastiano, Giovanni Battista e Pietro sormontata da una lunetta con la Pietà per S. Pietro di Faedis (Bampo, p. 147). Trafugata già nel 1956 e nuovamente nel 1976, è l’ultimo dipinto noto del M. che mostra come la sua attività pittorica in questi anni fosse influenzata dalle opere di Giovan Antonio de Sacchis detto il Pordenone (Fossaluzza, p. 93 n. 111).
Nella stessa chiesa è presente anche un’ancona lignea su due livelli con sei scomparti, unica rimasta delle tante documentate con questo schema e databile all’inizio del terzo decennio (Rizzi, pp. 140 s.).
Il 15 giugno 1521 venne stimata un’opera che il M. aveva già eseguito per la Confraternita di S. Maria di Brazzano composta da una statua lignea e da due laterali dipinti, oggi molto rovinati e collocati nella chiesa di S. Giorgio (Bergamini, 1986, p. 50); mentre il 19 novembre dello stesso anno egli stimò le portelle d’organo eseguite da Pellegrino da San Daniele per il duomo di Udine (Joppi, 1890, p. 21).
Il 24 marzo 1524 il M. fece testamento e chiese di essere sepolto nel chiostro del convento di S. Pietro Martire a Udine nel tumulo del suocero Andrea di Madrisio (Id., 1887, p. 32).
Il 5 nov. 1525 la Confraternita dei Battuti di Cividale commissionava la pala dell’altare maggiore della propria chiesa a Pellegrino da San Daniele (Cividale, Museo archeologico) e il 30 novembre assegnava al M. la realizzazione della cornice, terminata nel 1527 e dispersa nell’Ottocento (Id., 1890, pp. 62-66).
Alla fine del 1526 venne concluso l’altare maggiore dei Ss. Pietro e Paolo a Mortegliano (oggi nel duomo), per cui il M. aveva lavorato già nel 1512 (Tirelli, p. 49).
Iniziato probabilmente nel 1523 il monumentale altare (m 6 x 4 con oltre sessanta figure) costituisce il punto di arrivo dell’opera scultorea del M.: quattro registri sovrapposti dedicati alla Vergine, in cui la tradizionale scansione a nicchie separate viene trasformata in un loggiato aperto che corre anche sui fianchi. L’altare fu installato nel gennaio 1527 dopo una lunga controversia giudiziaria che costò l’interdetto alla città e venne stimata 1180 ducati, di cui ancora nel 1551 gli eredi del M. rivendicavano parte del pagamento (ibid., pp. 50-58).
Nel 1528 gli eredi di Antonio Tironi assegnarono al M. il completamento delle opere lasciate incompiute dall’artista bergamasco con cui, probabilmente, aveva stretto anche un sodalizio artistico (G. Perusini – T. Perusini, 1999).
Del resto il M. risulta in contatto con molti artisti operanti in Friuli, da Pellegrino da San Daniele (Furlan, 2005) al veneziano Marco Bello (Bampo, 1962, pp. 70 s., 152). Nella sua bottega, inoltre, sono documentati Giovanni Battista da Udine (Joppi, 1894, p. 21) e, nel 1502, Giovanni da Udine (Id., 1887, p. 28).
Il 30 maggio 1534 venne commissionata al M. un’ancona per la Confraternita di S. Maria del Monte di S. Pietro in Carnia, la sua ultima opera nota, realizzata in buona parte dalla bottega dopo la sua morte; mentre probabilmente non venne mai eseguita l’ancona per la chiesa di Zugliano, commissionatagli il 15 febbr. 1535 (ibid., p. 35).
Il 30 agosto in un codicillo al testamento dispose di essere sepolto nella chiesa di S. Pietro Martire di Udine nel nuovo monumento della Fraternita di S. Maria degli Angeli.
Il M. morì a Udine il 30 sett. 1535.

Autore: A. Cosma
Fonte: Treccani.it – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 71 (2008)

Fase cronologica: 1501

 

Bibliografia:
 – G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, pp. 104-106
– F. Di Maniago, Storia delle belle arti friulane (1823-42), a cura di C. Furlan, Udine 1999, I, pp. 30, 129, 223 s.; II, pp. 18 s., 54
– G.B. Cavalcaselle, La pittura friulana del Rinascimento (1876), a cura di G. Bergamini, Vicenza 1973, pp. 33-37, 131-133
– V. Joppi, Nuovo contributo alla storia dell’arte nel Friuli ed alla vita dei pittori e intagliatori friulani, Venezia 1887, pp. 26-59
– Id., Contributo secondo alla storia dell’arte nel Friuli ed alla vita dei pittori e intagliatori friulani, Venezia 1890, pp. 14 s., 21, 23, 25, 29, 37, 62-66
– Id., Contributo quarto ed ultimo alla storia dell’arte nel Friuli ed alla vita dei pittori e intagliatori friulani, Venezia 1894, pp. 24, 37
– M.G. De Favento, Antonio Tironi e i suoi contatti con G. M., in Le Panarie, XIV (1938), 82, pp. 193-201
– Id., G. M. scultore, ibid., XV (1939), 85, pp. 15-25
– G. Marchetti – G. Nicoletti, La scultura lignea nel Friuli, Milano 1956, pp. 70-81, 130-132
– G. Bampo, Contributo quinto alla storia dell’arte nel Friuli ed alla vita dei pittori e intagliatori friulani dal XV al XVII secolo, Udine 1962, pp. 141-158
– A. Sedran, Il duomo-concattedrale di Portogruaro, Portogruaro 1962, p. 21
– A. Bergamini Ponta, G. M. pittore, Udine 1970
– A. Tempestini, Tre schede venete, in Itinerari. Contributi alla storia dell’arte in memoria di Maria Luisa Ferrari, I, Firenze 1979, pp. 77-79
– A. Rizzi, Mostra della scultura lignea in Friuli (catal., Passariano), Udine 1983, pp. 26, 132-148
– F. Quai – G. Bergamini, Documenti per lo studio dell’arte in Friuli nei secoli XV e XVI. IV, in Sot la nape, 1984, n. 1, pp. 38 s.
– A. Tempestini, G. M. da Udine alla Misericordia di Firenze, in Antichità viva, XXIV (1985), 1-3, pp. 34-36
L’altare ligneo di G. M. a Remanzacco, a cura di G. Bergamini, Udine 1986
Mortegliano e il suo gioiello d’arte, a cura di A. Rizzi, Mortegliano 1986
– R. Tirelli, La Comunità di Mortegliano e il suo altare, ibid., pp. 44-77
– G. Bergamini – S. Tavano, Storia dell’arte nel Friuli Venezia Giulia, Udine 1991, pp. 304-308, 333-336, 355
– G. Fossaluzza, Pittori friulani alla bottega di Alvise Vivarini e del Cima, in Saggi e memorie di storia dell’arte, 1996, n. 20, pp. 35-94
– A. Gentili, S. Marco nelle immagini del Cinquecento: problemi di iconologia contestuale, in S. Marco. Aspetti storici e agiografici. Atti del Convegno… 1994, a cura di A. Niero, Venezia 1996, pp. 303 s.
– G. Perusini – T. Perusini, Un problema irrisolto della scultura lignea friulana. I rapporti tra Bartolomeo dall’Occhio, Antonio Tironi e G. M., in La scultura lignea nell’arco alpino (1450-1550). Storia, stili e tecniche. Atti del Convegno… 1997, a cura di G. Perusini, Udine 1999, pp. 203-223
– G. Bergamini, Tre sculture lignee del Museo di Udine, ibid., pp. 183-186
La Galleria d’arte antica dei Civici Musei di Udine, I, Dipinti dal XIV alla metà del XVII secolo, a cura di G. Bergamini, Vicenza 2002, pp. 104-106
– C. Furlan, Rapporti tra pittori e intagliatori nella prima metà del Cinquecento in Friuli: Pellegrino da San Daniele, G. M., il Pordenone, in L’arte del legno in Italia. Esperienze e indagini a confronto. Atti del Convegno… 2002, a cura di G.B. Fidanza, Perugia 2005, pp. 35-46;
– L. Sartor, in Martino. Un santo e la sua civiltà nel racconto dell’arte (catal.), a cura di A. Geretti, Illegio 2006, pp. 150 s., 192 s.;
– U. Thieme – F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 176 s.
– Giuseppe Bergamini, Giovanni Martini intagliatore e pittore, Gessate (Mi), Parrocchia della Ss. Trinità dei Ss. Pietro e Paolo (Mortegliano), 2010, pp. 251 con 207 figure nel testo.

 

Note:
La pala udinese di San Marco è un caposaldo nella storia (e nella storiografia) dell’opera del Martini. Dalla stessa risaltano una robustezza quasi rustica e una vivace icasticità di tipo realistico.

(Sergio Tavano, nella recensione al volume di Giuseppe Bergamini, Giovanni Martini intagliatore e pittore, Gessate (Mi), Parrocchia della Ss. Trinità dei Ss. Pietro e Paolo (Mortegliano), 2010, riportata in Ce Fastu?, LXXXVII (2011) 2)

 

Fruibilità: Sempre, a chiesa aperta.

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 23 febbraio 2020

AVIGLIANA (To), Pilone di via Don Marco Cravotto, con quadretti di sant’Antonio abate

Sorge in aperta campagna sotto una vecchia quercia, dopo le ultime case di Drubiaglio verso Cascina del Conte.


Pilone a base quadrata con zoccolatura in pietra a spacco naturale e muratura intonacata a resina granulare.
Nella facciata rivolta verso la strada, nicchia ad arco chiusa con serramento in lamiera e grata in rete metallica sormontato da croce.
Copertura a quattro falde, con croce in ferro sovrastante.
Costruito intorno al 1888, si presenta in buone condizioni.

Proprietà degli eredi di Perotto Roberto.

 

Note storiche:
Nella nicchia, oltre ad una statua di Madonna con Bambino, vi sono due quadretti di sant’Antonio abate, un santo molto amato dai coltivatori della terra e considerato protettore degli animali.

Fu fatto erigere dalla vedova di Antonio Perotto, deceduto nel 1887 in quel luogo cadendo da un albero di pere. La vedova volle piamente ricordare il marito e ringraziare Dio per la nascita del figlio Antonio, avvenuta cinque giorni dopo il tragico evento.

 

Bibliografia:
 – AA.VV., I piloni di Avigliana. Riscopriamo i segni della religiosità popolare, Comune di Avigliana e Associazione Amici di Avigliana, Avigliana 2002, pp. 32.

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 12/11/2011

 

BENNA (Bi). Chiesa di San Pietro, affresco raffigurante sant’Antonio abate

La Chiesa Parrocchiale di San Pietro a Benna in stile rinascimentale custodisce interessanti testimonianze della pittura ad affresco del primo Cinquecento nel biellese.

La chiesa, costruita all’inizio del XVI secolo, presenta un’architettura fatta di linee semplici ed eleganti. Assieme alla contemporanea Basilica di San Sebastiano a Biella, è uno dei pochi edifici sacri in stile rinascimentale presente nel biellese (entrambe ebbero come committente Sebastiano Ferrero, generale delle finanze della Corte dei Savoia).
L’interno della chiesa è a tre navate con volte a crociera; la navata centrale termina con un ampio presbiterio a pianta rettangolare, mentre le navate laterali culminano in due cappelle poligonali con volta a botte.

 

Affreschi
Nella cappella al termine della navata destra – la cui volta è ornata dal gioco prospettico di una finta cassonatura – troviamo, sulla parete di fondo, una Madonna della Misericordia sormontata da una lunetta con il Cristo in Pietà; sulle pareti laterali sono raffigurate figure di Santi: si tratta di dipinti attribuiti al pittore vercellese Gaspare da Ponderano (post 1450 – ca. 1530).
Nella cappella che chiude la navata sinistra, sotto un fregio in cotto, troviamo una (piuttosto rara) raffigurazione della Trinità in forma di triplice figura del Cristo benedicente (“Trinità triandrica e cristomorfa”). Affiancate ad essa sono figure di santi – sant’Antonio Abate e san Pietro – e sante – santa Lucia e santa Apollonia).  Si tratta di affreschi di scuola di Defendente Ferrari databili all’altezza del 1535.
Sempre nella navata sinistra altri affreschi (una Annunciazione della Vergine con San Nicola da Tolentino e un San Fabiano papa tra San Rocco e San Sebastiano) testimoniano, anch’essi, l’attardarsi del gusto gotico in Piemonte.

Immagini  in parte da  http://www.milanofotografo.it/

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 13/08/2011

LAZISE (Vr). Chiesa romanica di San Nicolò, affresco di sant’Antonio abate

Comune di Lazise – piazza Vittorio Emanuele II  11/20

 

La chiesa fu fondata nel XII ed aveva un’abside semicircolare che venne demolita (nel 1595) con la conseguente perdita di importanti affreschi. Nel 1777 fu anche demolito il campanile a vela perché pericolante e fu sostituito dall’attuale; oggi si presenta come un edificio in pianta rettangolare disposto a crociera con navata unica ed il tetto a capriate scoperte, le mura sono in pietra calcare, l’ingresso è sito a ovest ed è sormontato da un protiro pensile, con dedica ai caduti.

All’interno sono ancora visibili numerosi affreschi tra cui: una Madonna seduta in trono che allatta il Bambino (XIV sec.): esso faceva parte di un trittico; la Maria Maddalena (XII sec.), in parete non leggibile; San Lorenzo e San Sebastiano. Alla loro sinistra altri affreschi del Trecento: un altro santo martire che è andato completamente perduto; Sant’Antonio Abate (vedi fig.): dallo studio di questa figura si può evincere che il Santo era molto venerato in queste zone; un San Giovanni Evangelista, rappresentato in forma giovanile; una Crocifissione molto bella; un san Giovanni battista; un San Cristoforo ed in fine un Cristo Pantocratore di fattura bizantineggiante. All’esterno è visibile la Madonna del popolo: l’immagine è databile al XIII secolo ed è collocata, all’interno di una nicchia tabernacolo, sul lato settentrionale anche essa di fattura simile agli affreschi di tipo bizantino.

 

Note storiche:
San Nicolò (di Patara nell’Asia Minore) navigando verso la Terra Santa, predisse una tempesta e quindi la placò con le preghiere. Dopo la sua morte (nel 330), divenne il santo protettore delle acque e dei naviganti.
L’edificio fu costruito nel sec. XII dalla Corporazione degli Originari con i pescatori e i fondatori del Comune. In seguito la chiesa divenne sede della Confraternita di S. Nicolò, una delle antiche Confraternite della Misericordia nate in seguito alle predicazioni domenicane nel sec. XIII, essa sovvenzionò, i principali lavori di rifacimento e di restauro.
Solo recentemente la chiesetta è stata restituita alla forma originale.
Neanche dopo 10 anni dalla sua fondazione, subì i primi danni col terremoto del 1117, in seguito all’incendio che nel 1528 distrusse la casa del Comune, fu adibita ad usi profani.
Nel 1595, per collocarvi gli stalli dei membri della Reggenza, la Confraternita decise di demolire l’abside originale, semicircolare e tutta decorata ad affresco, sostituendola con una a crociera.
Il Comune volle affermare il patronato sulla chiesa, facendo murare sull’arco trionfale lo stemma di Lazise con l’iscrizione: C.l. MDXCV.
La storia si ripeté quando nel 1777 la Confraternita, ricostituitasi con il nome della Beata Vergine del Suffragio, chiese di sostituire il campanile a vela diroccato con uno più grande a due campane; il Comune approvò a condizione che fosse messo lo stemma comunale. Una campana fu offerta dai fedeli, fusa dal Larducci nel 1781, l’altra dal Micheletti a spese della comunità esse oltre a svolgere le normali funzioni, nei giorni di nebbia e di tempesta guidavano i naviganti in porto.
Il lato settentrionale esterno, prospiciente il porto, in origine era protetto da un portico, dove oggi è visibile l’affresco con la Madonna del Popolo.
L’atrio, venne usato come magazzino, riparo per gli uomini e gli animali, cosicché il vescovo Gian Matteo Giberti, disapprovando la presenza dell’altare in un luogo adibito ad usi profani, lo fece demolire e nel 1792 si demolì anche il resto del portico.
Nel 1806, con le soppressioni napoleoniche, il Governo del Regno Italico sciolse la Confraternita di San Nicolò, ne incamerò i beni e tentò di demaniare anche la chiesa, salvata in extremis dal Comune.
La chiesa era in gravi condizioni di degrado, allora il Cardinale Luigi Di Canossa, nel 1879, ne ordinò la chiusura.
Nel 1882 l’arciprete Bartolomeo Tomezzoli iniziò i lavori di restauro, sospendendoli subito per mancanza di fondi. Da allora l’edificio venne trasformato in magazzino, teatro, alloggio di soldati, cinematografo e i suoi arredi sacri furono dati in deposito alla Chiesa parrocchiale.
Finalmente il 17 febbraio 1952, il Consiglio Comunale ne decretò la riapertura al culto; nel 1953 vennero iniziati i lavori di restauro, diretti dall’architetto Bruno Melotti e da Giuseppe Ferrari di Verona e dal pittore Mario Manzini, risuscitatore dei preziosi affreschi trecenteschi.
Il 4 novembre 1953 l’antica chiesetta fu usata per la riconciliazione, divenendo altresì Sacrario dei Caduti del Comune. E le più belle opere d’arte dell’antico edificio ritornarono al loro posto. I lavori di restauro del 1953 riportarono alla luce la testimonianza artistica di quest’antica chiesetta: alcuni frammenti degli affreschi del XIV secolo, che un tempo ricoprivano le pareti della chiesa.
I dipinti, molto probabilmente ex-voto, sono opera di un anonimo artista giottesco di scuola locale; la presenza di Giotto alla corte degli Scaligeri aveva avuto una grande influenza sui pittori veronesi.
II loro stato di conservazione è purtroppo alquanto precario: gli affreschi sono stati più volte ricoperti di intonaco e quindi ridipinti, sia per il mutare delle devozioni popolari nei secoli, sia per le frequenti disinfezioni effettuate in seguito alle epidemie di peste, in particolare quella del 1630.
L’originaria fisionomia del corpo pittorico venne celata quasi completamente finché, grazie agli interventi di restauro del pittore Raffaello Brenzoni nel 1925 e di Mario Manzini nel 1953, dagli strati di intonaco e di ridipinture furono risuscitati i begli affreschi originali.

 

Link: http://www.comune.lazzise.vr.it

Fruibilità:
Sempre aperta – orari dalle 9.00 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 19.00

Rilevatore: Valter Bonello

Data ultima verifica sul campo: 10/05/2011

PORTOGALLO – LISBONA. Museu National de Arte Antiga: “Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio” di H. Bosch.

Museo Nazionale di Arte Antica, R. das Janelas Verdes, 1249-017 Lisboa.

Il Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio è un dipinto a olio su tavola (aperto misura 131 x 238 cm) di Hieronymus Bosch, databile al 1501 circa e conservato nel Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona.
Alcuni hanno indicato l’opera come una delle tre Tentazioni registrate negli inventari delle opere inviate da Filippo II di Spagna all’Escorial nel 1574. In realtà una tale ipotesi è scarsamente compatibile con la storia successiva del dipinto, per cui si tende oggi ad ipotizzare che il trittico fosse stato acquistato nelle Fiandre dall’umanista portoghese Damiao de Góis tra il 1523 e il 1545.
A metà dell’Ottocento era documentato nel Palazzo Reale di Lisbona e nel 1911 re Manuele II lo donò al museo.

Note storiche per approfondire:
Vedi allegato: Lisbona- trittico Bosh.pdf

Link:
https://www.analisidellopera.it/le-tentazioni-di-santantonio-di-hieronymus-bosch/

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data compilazione scheda: 06/06/2011

Bosch – trittico chiuso