AOSTA. Collegiata dei Santi Pietro e Orso, affresco con sant’Antonio abate

 

Piazzetta Sant’Orso – 11100 AOSTA (AO) – Telefono: 0165/262026 – Chiesa Parrocchiale Aosta


Le vicende costruttive sono analoghe a quelle della Cattedrale. Su una chiesa tipica dell’architettura altomedievale, a pianta quadrata ed a navata unica molto alta, si innestò al tempo del vescovo Anselmo (904-1026), l’intervento che le diede un assetto a tre navate con cripta, absidi semicircolari e copertura a capriate.
Sul finire del sec. XV, al tempo d’oro del priorato di Giorgio di Challant, furono costruite ed affrescate le nuove volte a crociera, fu voltato il chiostro e risistemato il priorato. In essa si evince l’architettura tardogotica, evidenziata dalle scelte estetiche di Giorgio di Challant, a cominciare dalle volte a crociera visibili sulla navata centrale e sul coro.

I cinque archi che segnano le campate della volta presentano i sottarchi affrescati, opera dall’atelier guidato sin dal 1499 dal Maestro Colin. Sui quattro sottarchi si possono notare in posizione contrapposta tra loro i busti di tre apostoli e di tre di profeti, sul quinto vi sono tre santi (Lorenzo, Giorgio e Maurizio) contrapposti a tre sante (Lucia, Barbara e Agnese). Le figure hanno vistosi cartigli.
Gli affreschi dell’altare di San Sebastiano posto al termine della navata destra all’esterno del coro, sono opera dello stesso atelier (restaurati nel 2009). Nella cappella che ospita l’affresco si può osservare, in alto nella lunetta, la Madonna in trono con Bambino e i santi Michele e Antonio abate; la parte inferiore è interamente dedicato al Martirio di San Sebastiano e sui due pilastri sono raffigurati un Santo Vescovo e San Rocco.

 

Note storiche:
Grazie allo scavo archeologico (tra il 1976 e il 1999),  si sono potute ripercorrere le vicende costruttive dell‘edificio. Nell’area, che in antichità faceva parte di una necropoli extraurbana, agli inizi del V secolo, sorse un complesso paleocristiano che comprendeva la chiesa cruciforme di S. Lorenzo. Al centro della navata sud si è rinvenuto il basamento di un edificio funerario databile tra IV e V sec. d.C.; la chiesa primitiva, sorta a nord di questo mausoleo, era costituita da una semplice aula absidata circondata da un porticato destinato a sepolture privilegiate.
Nel IX secolo, la chiesa fu completamente ricostruita e ingrandita, spostando verso sud l‘asse generale dell‘edificio; l‘estremità orientale fu dotata di tre absidi, mentre la facciata fu ricostruita a ovest di quella paleocristiana.
Nel 989 si aggiunse alla facciata un campanile i cui resti sono ancora visibili per un‘altezza di circa 15 m.
All‘inizio dell‘XI secolo, venne costruita la chiesa romanica con il campanile nella nuova facciata, malgrado la sua posizione sia eccentrica rispetto all‘asse longitudinale della nuova chiesa. L‘edificio è a pianta basilicale, diviso in tre navate concluse da absidi semicircolari. L‘attuale torre campanaria, costruita nel XII secolo, apparteneva originariamente ad un sistema difensivo costituito da una cinta muraria e da una seconda torre di grandi dimensioni, i cui resti sono stati scoperti addossati al muro perimetrale nord della chiesa. I resti archeologici non sono visibili perché situati immediatamente al di sotto del pavimento della chiesa.
Da segnalare il bellissimo coro ligneo quattrocentesco, l‘antica cripta e l‘importante ciclo di affreschi ottoniani (sec. XI) visibile nel sottotetto della chiesa.
Lo scavo archeologico del coro della chiesa di S. Orso ha permesso di riportare alla luce un mosaico pavimentale di forma quadrata, sconosciuto e non menzionato dalle fonti, realizzato con tessere bianche e nere con alcuni inserti di tessere di colore marrone chiaro. Una serie di sei cerchi, inscritti nel quadrato, funge da cornice alle decorazioni centrali.
Nel medaglione centrale appare un‘elegante rappresentazione di Sansone che uccide il leone.

 

Il complesso sorge sul sito di una necropoli extraurbana, sopra la quale, già a partire dal V sec. vennero edificate l’attuale chiesa e quella dedicata a San Lorenzo (le cui fondamenta ancora visitabili, al di sotto di quella poi successivamente costruita, oggi essa è sconsacrata e viene utilizzata come spazio museale).
Le strutture sono risalenti all’epoca carolingia e a quella ottoniana (IX e X sec. d.C.). La parte più suggestiva la riveste il Chiostro di epoca medievale. La struttura è caratteristica in particolare per i capitelli, che sono delle vere opere d’arte, ricchi di significati iconografici, di difficile interpretazione, raffiguranti episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Cronologia: IX-XI sec.

 

Bibliografia:
 – AA.VV., Medioevo in Valle d’Aosta; dal secolo VII al secolo XV, Priuli &Verlucca, Ivrea, 1995,
– B. Orlandoni, Architettura in Valle d’Aosta – Il romanico e il gotico, Priuli & Verlucca, Ivrea, 1995,
– B. Orlandoni, Architettura in Valle d’Aosta – Il Quattrocento, Priuli & Verlucca, Ivrea, 1995,
– S. Barberi, Collegiata dei SS. Pietro e Orso. Gli affreschi dell’XI secolo, Pubblicazione a cura della Regione Autonoma Valle d’Aosta, stampato da Musumeci Industrie Grafiche, Quart (AO), 2002,
– S. Barberi, Collegiata dei Ss. Pietro e Orso. Il chiostro romanico, Pubblicazione a cura della Regione Autonoma Valle d’Aosta, stampato da Umberto Allemandi Editore, Torino 2002,  – Amministrazione comunale di Aosta, “Aosta 2000 anni di storia”, Musumeci Industrie Grafiche, Quart (AO), 2003,

Fruibilità:
Orari: Dal 1° ottobre al 28 febbraio: 10.00 – 12.30 / 13.30 – 17.30 feriali; 10.00 – 12.30 / 13.30 – 18.30 domenica e festivi. Dal 1° marzo al 30 settembre: 9.30 – 12.30 / 14.00 – 18.00
Costi: Ingresso gratuito

Rilevatore: Valter Bonello

Data ultima verifica sul campo: 03/02/2013

MANTA (Cn). Santa Maria del Monastero, affresco con s. Antonio abate, 1430 circa

La Chiesa è in Via Rivoira, 11/7

Fu il primo luogo di culto di Manta ed è uno dei più antichi monumenti cristiani del Piemonte sud-occidentale. La conformazione muraria, la tipologia delle absidi connesse a spigolo vivo, la struttura di una coppia di archetti binati che le decora, la conformazione dei pilastri interni consentono di collocare la costruzione negli ultimi decenni dell’XI secolo. La sua presenza è però accertata per la prima volta in due atti di donazione del 1175 e del 1182, in cui compare come testimone un certo “Aimo presbiter” o “Prior de Manta”.


Le sue origini appaiono legate all’Abbazia di Pedona, oggi Borgo San Dalmazzo, che vantava numerose fondazioni religiose nel cuneese e nel saluzzese. Venne edificata con annesso un convento di monaci benedettini (da qui il nome di S. Maria del Monastero) come descritto in una bolla papale del 1216, che la classifica appartenente alla diocesi di Torino.
La chiesa conobbe alterne vicende di splendore e di rovina, con passaggi dalla diocesi di Torino a quella di Asti, poi di Mondovì ed ancora di Torino. Infine nel 1483 venne aggregata alla Collegiata di Saluzzo e nel 1511 entrò a far parte della diocesi di Saluzzo, accordata da Giulio II su supplica di Margherita di Foix.
Il monastero fu distrutto per lasciare posto ad una fornace di mattoni, da molto tempo anch’essa scomparsa. Già a partire dal 1575, in documenti ecclesiastici, non si trovano più riferimenti alla comunità monastica.

Nel XV secolo assunse il ruolo di cappella cimiteriale per le “famiglie cospicue“ del paese. A tal fine venne sopraelevato di circa 90 cm. il livello della pavimentazione originale. Conservò questa funzione per secoli. Porta la data del 1539 l’iscrizione che ricorda la sepoltura di Francesco Franchi. Purtroppo sono andate perse le altre lapidi funerarie, sostituite durante il restauro del pavimento (anni ‘90) con lastre in pietra.
Fu frequentata fino al 1673, quando si aprì al culto l’attuale parrocchia di Santa Maria degli Angeli, dalle genti di pianura, mentre la popolazione della collina usava raccogliersi nella Parrocchiale annessa al castello.

Nel corso dei secoli, come testimoniano le relazioni di visite pastorali, venne assai trascurata. Solo nella seconda metà del 1700 si verificò un rinnovato interesse per la chiesa, che si concretizzò con il rifacimento della facciata, la costruzione del campanile, la copertura dell’abside centrale con una volta a spicchi, con la posa dell’altare che è un classico esempio del barocco saluzzese di quell’epoca.
Nell’800 non venne praticamente più usata e subì un grave progressivo degrado.
Nel corso della seconda guerra mondiale venne utilizzata come comando militare di artiglieria alpina e poi come presidio di truppe tedesche, infine come deposito e magazzino. In quegli anni si verificarono gravi danni alle pitture parietali.

Fu soltanto a partire dagli anni 1970 che ebbero inizio gli interventi di conservazione con un primo restauro degli affreschi, staccati per essere poi conservati, parte in Casa Cavassa di Saluzzo, parte alla Galleria Sabauda di Torino, sino al 2001.
Nel 1986 venne completamente rifatta la copertura lignea a capriate, poi si procedette al risanamento dell’abside centrale, alla sostituzione dei serramenti ed al rifacimento del pavimento, oltre che ad un importante lavoro per ovviare all’infiltrazione di umidità sul lato nord.
Un’importante serie di lavori ha interessato nel 2006 e 2007 sia l’esterno che l’interno dell’edificio. Al suo interno sono stati ricollocati nella navatella destra, loro luogo di origine, gli affreschi strappati nel 1979. Anche l’abside centrale ed il relativo altare sono stati ripuliti e ricolorati, ripristinando l’effetto “trompe l’oeil” molto gradevole ed efficace.
Esternamente i lavori hanno riguardato il risanamento del lato nord mediante raccordo delle gronde al rio S. Brigida e ripristini della canalizzazione dello stesso rio a monte della chiesa e lungo tutto il fianco.

 

L’edificio ha oggi solo in parte conservato il suo aspetto originario.
La facciata a capanna, rifatta nel 1760, è segnata da 4 lesene che la dividono in 3 parti corrispondenti alle navate interne e presenta una cornice orizzontale a 6 aperture di varia foggia.
L’interno si presenta nella forma classica della basilica romanica a tre navate, spartite da quattro pilastri, coperte da armatura lignea e chiuse con absidi semicircolari. L’abside maggiore è illuminata da una coppia di monofore, ha il semicatino celato da una volta a spicchi settecentesca; le absidi laterali presentano ancora invece il semicatino originario. Gli scavi del 1995 hanno portato alla luce sul fronte di un altare trecentesco una splendida veronica, sovrastata dai volti della Vergine, di San Pietro e di San Paolo molto ben conservati.
L’orientamento canonico del lato presbiteriale, da nord a sud, è rispettato, con una sensibile pendenza verso sud. Al livello dei muri perimetrali, tra il fianco settentrionale e quello meridionale dell’edificio, si registra una differenza di quota di ben 130 centimetri.


Gli affreschi fanno parte del fervente periodo del Quattrocento pittorico del saluzzese
. Sono oggetto di studi di numerosi esperti già fin dagli anni 50. Strappati in parte nel 1979, per un’importante rassegna torinese dedicata a Giacomo Jaquerio ed al gotico internazionale, furono poi esposti al museo civico Casa Cavassa di Saluzzo per oltre 20 anni. Altri furono conservati alla Galleria Sabauda di Torino dalla quale vennero restituiti nel 2004, quando l’edificio era stato riportato ad un discreto grado di manutenzione rispetto al gravissimo stato di degrado riscontrato negli anni del dopoguerra.
Nell’anno 2007, dopo un delicato e lungo lavoro di preparazione muraria, sono stati ricollocati nel loro luogo d’origine quelli strappati dalla navatella destra.
L’anonimo artista che realizzò le opere, verosimilmente intorno agli anni ’30 del 1400 con la collaborazione della sua bottega, riflette l’influenza stilistica del maestro attivo presso la sala baronale del castello (anni 20), mostrando di saper coniugare l’espressionismo tipico dello Jaquerio con un gusto raffinato e cortese tipico del gotico internazionale. Queste caratteristiche inseriscono il pittore di Santa Maria del Monastero in un filone di produzione artistica assai diffuso in zona e che vede altri eccellenti esempi nella chiesa dell’antica parrocchiale di Manta (annessa al castello), nella chiesa della S. Trinità presso Scarnafigi e nella cappella dei Santi Crispino e Crispiniano della chiesa di San Giovanni a Saluzzo.
Gli ultimi studiosi parlano dell’autore di questi affreschi come di un non meglio precisato “maestro della Manta”, il quale avrebbe operato con le sue maestranze nei cicli pittorici presenti nella sala baronale del castello, oltre che nella antica chiesa castellana.
Il pittore si rivela in questo ciclo prezioso nelle policromie, un attento disegnatore, abile nel chiaroscuro e nella riproduzione dettagliata dei panneggi delle vesti fatte di tessuti scelti con cura. I personaggi sono caratterizzati nelle espressioni dei volti dall’incarnato chiaro con tratti delicati, che ritraggono sottili sopracciglia e piccole bocche.
Molta attenzione è rivolta ai dati di natura, in particolare nei prati fioriti e negli alberi frondosi.
Gli affreschi che si trovano ora appoggiati alla parete della navatella destra: San Nicola con il bastone e la mitra in quanto vescovo, con in mano tre monete d’oro che regalò in dote a tre giovani poverissime. San Leone Papa con il triregno, patrono di Manta.
La deposizione di Cristo nel sepolcro: sul fondo blu si stagliano le rocce grigie del Golgota su cui si erge la croce; in primo piano è il sepolcro in pietra semplice e squadrato, in cui viene adagiato Gesù. Due personaggi gli sono accanto: Giuseppe d’Arimatea con una folta barba grigia ed un cappello a cono arrotondato, e Nicodemo con il volto quasi illeggibile ormai, caratteristico per il copricapo a larga tesa. In basso la Maddalena dai lunghi capelli biondi protesa a baciare la mano del Cristo. In secondo piano due pie donne e Maria, figura altamente patetica, al centro della composizione, avvolta in un fluente manto blu. Ha il volto contratto dal dolore, le guance segnate da vistose lacrime. Sulla destra, san Giovanni, solo in parte visibile.
San Biagio. Ritratto con la mitra perché era vescovo di Sebaste (nome di alcune città dell’oriente fondate in onore di Augusto, infatti è l’equivalente del latino Augustus; nome dato, ad esempio, all’antica Samaria in Giudea). Tiene in mano il pettine dei cardatori di lana, strumento del suo martiri.
L’Annunciazione: in mandorla, al centro, Dio Padre, il Bambino con la croce in spalla, a sinistra un angelo vestito di rosso con ali molto frastagliate e le penne segnate una ad una, con in mano un cartiglio illeggibile. A destra la Madonna, con la colomba dello Spirito Santo che le sfiora la fronte, inginocchiata davanti al Vangelo aperto alla pagina su cui sta scritto “Ecce Ancilla Domini, fiat mihi….”. Dietro a lei un trono in legno, con bifore gotiche sullo schienale. Da evidenziare l’espressione dolcissima del suo volto e la finezza dei tratti.
Nel semicatino la Santa Trinità in mandorla con angeli che le fanno corona. Molto belli nella raffigurazione pittorica e con i colori molto ben conservati. Purtroppo la scena è in gran parte andata persa.
Ai due pilastri del lato sud sono appoggiati:
San Giacomo di Galizia: con la tunica bianca e il manto rosso con ampie pieghe e volute, cappello a larghe falde, bastone bisaccia e borraccia che rappresentano la sua condizione di pellegrino.
San Benedetto: senza barba, indossa il saio nero dell’ordine da lui fondato. Ha in mano un libro e il pastorale vescovile, seppure non sia nemmeno certo che fosse sacerdote.
Uno stemma: su sfondo bianco una pianticella verde sradicata, con piccole foglioline, e una banda rossa che attraversa il tutto. L’ipotesi più verosimile è che si tratti dell’insegna della famiglia Urtica di Verzuolo, vassalli dei marchesi, forse i committenti di questi affreschi.
Riveste grande interesse il Giudizio Universale, l’affresco più vasto presente nella chiesa, che domina la parete sud per tutta la sua altezza, oggetto di un restauro conservativo e fissativo nel 1995. Cristo giudice si trova al centro della mandorla sostenuta da sei angeli. La sua figura maestosa è avvolta in un ampio manto rosso, morbidamente panneggiato; l’espressione del volto è irata con gli angoli della bocca rivolti verso il basso. Alla destra e alla sinistra del Cristo giudicante si snodano due cartigli, l’uno con la scritta “Venite benedicti posidete regnum qui paratum est vobis” e l’altro “Ite maledicti in ignem eternum qui paratum est vobis”. Ai lati sono la Madonna, inginocchiata e con le mani giunte in atto di preghiera e San Giovanni, con i riccioli scompigliati, la barba e i baffi incolti; in alto due coppie di angeli portano gli strumenti della Passione. Nella zona inferiore si trova la raffigurazione della città celeste con San Pietro che accoglie le anime dei salvati sulla porta di un edificio gotico. Solo poche tracce rimangono del regno degli inferi: la scena risulta deturpata da un’apertura ad arco successiva ai dipinti. Si possono osservare ancora parte delle ali di due diavoli e una coppia di dannati che invocano il perdono.

Lungo la parete sud sono altre scene. Una, poco leggibile e di difficile interpretazione rappresenta probabilmente un episodio della vita di un santo (martirio di San Pietro martire?), l’altra il martirio di San Sebastiano: la figura del santo e del suo persecutore sono bianche e i tratti dei volti cancellati; si è conservato il colore rosso della veste dell’arciere e del suo curioso cappello a punta.
Un successivo riquadro ritrae San Fabiano, Sant’Antonio abateSan Sebastiano rappresentato questa volta nelle vesti di un nobile cavaliere.

 

Nell’absidiola del lato nord troviamo un’Annunciazione molto simile a quella che si trova nel santuario di San Leone sulla collina di Manta, datata 1422.
Sulla parete a sinistra San Benedetto e San Bernardino da Siena (1380-1444). Quest’ultimo figura rappresentativa dello spirito di religiosità attiva e operante che percorse gli ordini religiosi nella prima metà del secolo quindicesimo. Aderì al francescanesimo. Si distinse come uno dei maggiori predicatori della sua epoca, la cui parola ebbe una forte incidenza non solo sul sentimento religioso e sul costume di grandi masse, ma intervenne anche come autorità in questioni sociali e politiche. Fu dedito alla riforma spirituale organizzativa del suo ordine. Fu scrittore latino in trattazioni e controversie di carattere dottrinario. Fu canonizzato nel 1450 da Papa Niccolò V: Proclamato patrono dei pubblicitari da Pio XII nel 1956. I tre cappelli vescovili ai suoi piedi indicano la rinuncia ai tre vescovati che gli erano stati offerti.
Tranne quelli della parete sud, tutti gli altri affreschi sono stati oggetto di pulitura e restauro nei primi mesi del 2007.

 

Link:
http://www.comunemanta.it

http://www.museodiffusocuneese.it/siti/dettaglio/article/manta-santa-maria-del-monastero/

http://archeocarta.org/manta-cn-chiesa-di-santa-maria-del-monastero/ 

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 26/02/2013

BEINETTE (CN). Chiesa di Santa Maria della Pieve, affresco raffigurante sant’Antonio abate

L’edificio si incontra percorrendo la provinciale per Margarita, circa 1 km fuori dell’abitato.

La chiesa è attestata già nel 1041 e sovrintendeva le dieci chiese dell’antico pagus, come testimoniano numerosi ritrovamenti epigrafici e di materiali da costruzione (all’interno è custodita un’ara romana).
Nel 1345 la sede parrocchiale fu trasferita nella nuova chiesa di San Giacomo nell’abitato di Beinette.
La chiesa conserva affreschi del XV secolo di alto valore artistico.
Nel Sei e Settecento nel cilindro absidale furono tamponate le finestre e ricoperti gli affreschi, tranne la Madonna in trono.
I restauri, completati nel 2001, hanno riportato alla luce tutte le pitture.

L’edificio è formato da un’aula basilicale preceduta da un portico e affiancata sul lato sud da una piccola sagrestia.
La chiesa è stata affrescata in tre momenti diversi.
Al primo ciclo, databile intorno alla seconda metà del ‘400, appartengono gli affreschi del cilindro absidale, al centro vi è la Madonna in trono col Bambino e ai lati gli affreschi recuperati: alla sua destra san Giacomo e san Michele, alla sua sinistra san Bernardo d’Aosta e sant’Antonio abate; santa Caterina d’Alessandria e san Pietro sono nascosti dall’altare. Inoltre fu affrescato in questo periodo, al centro della parete nord della navata, un grande riquadro che raffigura san Cristoforo.

In un secondo momento, dopo il 1474, vennero realizzati gli affreschi del catino absidale: una grande Madonna della Misericordia che distende a ruota il suo mantello sulla folla dei fedeli, a destra le donne e a sinistra gli uomini, il Cristo risorto, santa Caterina d’Alessandria, san Giacomo e il committente inginocchiato.
In un terzo momento, alla fine del XV o agli inizi del XVI secolo, venne affrescato il ciclo che rappresenta, in 15 riquadri posti nella metà superiore di entrambe le pareti della navata, la storia della Vita della Madonna. Sulla parete di sinistra: nozze di Gioacchino e Anna, offerta al Tempio, incontro di Gioacchino e Anna alla Porta aurea, natività di Maria, presentazione al Tempio, nutrizione di Maria e nozze di Maria e Giuseppe. Nella parete di destra: annunciazione, nascita di Gesù, adorazione dei Magi, fuga in Egitto, circoncisione, presentazione al Tempio, dormitio Virginis e assunzione al cielo di Maria.

 

Bibliografia:
 – L. BERTONE, Arte nel Monregalese, L’Artistica Editrice, Savigliano CN, 2002;
– GROSSO Elisa, LA PIEVE DI BEINETTE E IL SUO APPARATO DECORATIVO. Storia, iconografia, attribuzione, restauro.
Editore: L’Artistica Editrice; Prezzo: € 30,00; Numero di pagine: 164 – ISBN-13: 9788873202073 – ISBN: 8873202071
L’autrice analizza in questo volume le vicende storiche della Pieve di Beinette, una delle più significative testimonianze di arte e devozione della piana cuneese, nonché l’approfondito studio del patrimonio artistico e decorativo, con particolare attenzione alle attribuzioni ed ai recenti restauri.
Il volume è dedicato alla preziosa Pieve di Santa Maria di Beinette. Il Santuario rivive la sua secolare storia, attraverso nuovi contributi e quattro sezioni di ricerca: la prima, storica e documentaria, evidenzia l’importanza sacrale dell’area circostante la Pieve, fin dai primordi della colonizzazione romana, per seguire le vicende storiche e documentarie, prettamente legate al Santuario, dalla fase medievale di funzionamento fino alle vicissitudini architettoniche che tra Sette e Ottocento ne modificarono l’aspetto originale.
Una seconda sezione, stilistica ed iconografica, presenta il corredo fotografico completo dei dipinti dell’intero apparato, che orna ed impreziosisce l’edificio sacro, ed unisce un’attenta analisi delle fonti apocrife e dei canoni iconografici che hanno ispirato la simbologia e le impostazioni scenografiche degli affreschi.
La terza sezione propone invece ipotesi attributive e temporali, relative ai cicli d’ambito quattro e cinquecentesco, per ripristinare quell’assenza documentaria che purtroppo impedisce l’affermazione di precise datazioni e l’identificazione delle botteghe che si succedettero nella realizzazione dei dipinti.
La quarta ed ultima sezione è infine dedicata all’intervento di restauro dei cicli pittorici e della statua lignea della Madonna, custodita al suo interno, con approfondimenti tecnici ed assortiti confronti fotografici. Attraverso il recupero dell’originario impianto decorativo, e il conseguente apporto di nuove conoscenze, si è dunque cercato di ritrovare la giusta collocazione della Pieve nel panorama artistico e pittorico del Piemonte, per valorizzare un sito devozionale di straordinaria bellezza e rilanciare le possibilità di fruizione al pubblico e agli studiosi, attraverso tutti gli elementi che da sempre la contraddistinguono e fanno di lei un importante fulcro religioso e un punto d’appoggio per la devozione della comunità beinettese.

 

Link: https://cuneofotografie.blogspot.com/2016/09/chiesa-della-pieve-e-chiesa.html

Fruibilità:
Orari di apertura: La chiesa è aperta in particolari occasioni, per informazioni rivolgersi all’Associazione Terra dei Bagienni, tel. 0171 384282 oppure alla Parrocchia, tel. 0171 384027.

Rilevatore: Angela Crosta, G.A. Torinese e Feliciano Della Mora, A.F.O.M.

Data ultima verifica sul campo: 13/01/2012

ALBA (Cn). Chiesa di San Domenico, affreschi con Storie di Sant’Antonio abate

Via Teobaldo Calissano, 7 – Alba
Tel. 0173.441742 (Famija Albeisa, Via P. Belli, 6 – 12051 ALBA (CN) famija.albeisa@areacom.it

Città-simbolo delle Langhe, Alba guarda la pianura dando le spalle ad un incantevole sistema collinare. In origine liguro-celtica, terminata la dominazione romana, in epoca medievale vengono costruite le mura di difesa che recintano la città, sopra le quali si trovano contrafforti e torrioni. Ecco perché è nota come la città delle cento torri. Alba subì diverse dominazioni e i suoi travagliati trascorsi storici modificarono svariate volte l’assetto urbanistico della città.
Il lascito è un maestoso esempio di convivenza di stili: il Palazzo del Comune sulle antiche rovine romane, via Vittorio Emanuele, già via Maestra, nel quale si trova testimonianza sia dello stile medievale che liberty. Tra le architetture religiose, il Duomo, su stile neogotico, e la Chiesa di San Domenico, ora sconsacrata, sede di mostre e concerti.


La Chiesa di San Domenico venne fondata il 22 novembre 1292, secondo i documenti di donazione del terreno, e affidata ai frati predicatori Domenicani. Il lato est appoggia sui resti di un edificio romano di carattere residenziale. La costruzione durò molti anni perché, in un documento del 1440, il Papa Eugenio IV concesse indulgenze per raccogliere fondi per i lavori della fabbrica ancora “imperfecta”. Probabilmente in tale periodo venne anche rimaneggiata in parte la struttura, completata nel 1474.
Vi furono successivamente, tra la seconda metà del 1600 e gli inizi del 1700, pesanti interventi che alterarono la statica della struttura gotica con la costruzione di 10 cappelle laterali. Nel sec. XIX vennero chiuse tre finestre dell’abside, asportate lapidi e iscrizioni, coperti affreschi, modificati altari ecc.
Alla Chiesa era annesso un convento, che venne demolito tra il XIX e il XX secolo.
Una prima fase di restauri avvenne intorno al 1930 con il ripristino dell’abside e la riapertura delle tre finestre; il restauro delle cappelle terminali delle navate laterali; la chiusura delle 10 cappelle perimetrali; il ripristino del pavimento all’antico livello; il recupero di alcuni affreschi, in particolare il Santo e la Madonna della Misericordia nell’abside destra. Vennero abbattute alcune costruzioni recenti addossate all’abside e al campanile.
Dal 1975 a oggi sono stati eseguiti molti e complessi restauri per recuperare le antiche strutture, consolidare la statica dell’edificio con tiranti in acciaio alle arcate delle navate laterali, rifare il tetto, recuperare alcuni cicli di affreschi nella cappella terminale e dell’abside della navata sinistra, ecc.
Lo scavo archeologico permise di scoprire nel 1983 il pavimento in cotto del XIV secolo, tombe di epoca dal XIV al XVIII secolo e, nella navata centrale, la fossa per la fusione di una campana del XV-XVI sec.
Nel 1985 vennero completati i lavori di restauro del pavimento, di posa di impianto elettrico, illuminazione, porte, impianto di amplificazione sonora.
Nel 1996-1998 altri scavi rivelarono i resti di una domus romana, si demolirono 4 cappelle pericolanti, vennero alla luce i resti di un ciclo di affreschi del XIV secolo. Vennero completati altri lavori di restauro della facciata. Ancora da attuare il recupero degli affreschi della navata centrale e delle colonne.

La Chiesa è di stile gotico severo primitivo, ad archi semiacuti. Le cordonature, le travature e le decorazioni testimoniano, nella zona, il passaggio dal romanico al gotico databile alla seconda metà del 1200.
La Chiesa di San Domenico presenta una facciata a due spioventi, divisa in tre campi da paraste; nel mediano sorge il portale a strombo con affresco nella lunetta (rappresentante la Madonna del Rosario con San Domenico e santa Caterina, restaurato nel 1991) con colonnine di arenaria e mattoni a fasce alterne. Il portale é sormontato da arco trilobo entro un arco ogivale e da un occhio.
L’abside è semidecagonale con contrafforti e 5 grandi finestre gotiche strombate di m 9 x 0,95.
L’interno è a forma basilicale lunga m. 50, a 3 navate alte circa m. 17, tutte in mattoni, divise da colonne con archi ogivali. La navata centrale è larga m. 8,70; le navate laterali sono larghe m. 4,40 ciascuna. Le volte sono a crociera con cordonature poggianti su colonne cilindriche centrali e su semicolonne incastrate nei muri perimetrali.
Gli scavi hanno portato ad un abbassamento del piano del pavimento fino a 70 cm al di sotto della quota attuale.
L’interno è oggi spoglio degli altari barocchi e di ogni arredo, ed è a disposizione della città per manifestazioni culturali.
Gli affreschi possono essere sinteticamente suddivisi come segue:
– ciclo 1300-1330: decorazione di finestre, lunette, fregi nella settima e ottava campata di sinistra;
– ciclo 1340-1350: completamento delle decorazioni precedenti, decorazione degli archi della volta e stemma troncato sotto gli archetti dell’edicola;
– ciclo 1360-1365: “Storie di Sant’Antonio Abate” nella parete destra della navata sinistra (purtroppo frammentari).  “Madonna della Misericordia” nell’ottava campata della navata destra;
– ciclo 1380-1390: affreschi, recuperati nel 1972, dedicati a Cristo, la Madonna e S. Giacomo;
– ciclo 1400-1410: sulla parete di sinistra le “Storie di S. Caterina d’Alessandria; S. Caterina da Siena; Beato Pietro di Lussemburgo”;
– ciclo 1450: “Martirio di S.Sebastiano” sulla parete sinistra della navata sinistra.
Altri affreschi sono datati tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500 e, nel lato destro dell’abside, vi é il sarcofago di Saracena Morelli del 1491.

La riapertura della chiesa al culto avvenne il 22 giugno 1827, dopo un primo restauro che vide la chiusura di tre delle cinque finestre strombate dell’abside, l’asportazione delle lapidi e delle iscrizioni e la chiusura delle cappelle terminali delle navate laterali per ricavarne la sacrestia. La chiesa è stata restaurata recentemente per iniziativa della Famija Albeisa. Lo stile del monumento è il gotico severo primitivo ad archi semiacuti. Di particolare interesse nella facciata è il portale che presenta una profonda strombatura di colonnine in arenaria. Nella lunetta, sorretta da un architrave, è dipinta la Madonna con il Bambino tra S. Domenico e Santa Caterina da Siena.

 

Bibliografia:
 – VERNAZZA G., Titoli di antiche chiese ed ospedali di Alba, Manoscritto XIX sec. conservato nella Biblioteca Civica di Alba (che possiede altri documenti antichi)
– GIORDANO C.L., Il bel San Domenico di Alba, Tipografia Anfossi, Torino, 1934;
– MACCARIO L., Per un intervento di restauro del San Domenico,“Alba Pompeia”, 1980, fasc. II
– TOSCO C., Il gotico ad Alba: l’architettura degli ordini mendicanti, Ediz. Famija Albeisa, Alba, 1999
– QUASIMODO F., SEMENZATO A. , Studi per una storia di Alba, una città del Medioevo, Ediz. Famija Albeisa, Alba, 1999
– BUCCOLO A. (a cura di), Alba. Chiesa di San Domenico, Ediz. Famija Albeisa , Alba, 2001

Note:
Vedi anche:  http://archeocarta.org/alba-cn-chiesa-di-san-domenico/

Fruibilità:
Orari di apertura: Sabato e giorni festivi 10-12,30 e 15-18,30. La Chiesa è aperta con il medesimo orario anche nei giorni feriali in cui si svolgono la rassegna “Vinum” e la “Fiera del tartufo” . Visite guidate: Tel. 0173.440665 (sig. Boarino)

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 31/12/2012

SERRAVALLE SESIA (VC): Pieve di Santa Maria di Naula, affresco raffigurante sant’Antonio abate

 

In Corso Matteotti, 355, frazione Piane Sesia, nei pressi dell’antico abitato di Naula.


Con l’avvento della religione cristiana in Naula, l’antico tempio pagano, già sede degli “Auguri”, diventò senz’altro tempio cristiano.
Fu semplicemente un lavoro di adattamento, perché il tempio pagano venne conservato nelle sue massime linee. Era infatti nello spirito del tempo di nulla distruggere, ma di trasformare per tutto portare al culto del vero Dio.
Il tempio così trasformato continuò a servire alla comunità religiosa di Naula (comprese le comunità di Vintebbio, Bornate e Sostegno, benché Bornate avesse tempio proprio) fino all’anno 880, tempo segnato dalla comune degli storici locali alla demolizione di quelle vetuste mura e alla ricostruzione della chiesa nella forma attuale.
La nuova chiesa sorse come per incanto, in brevissimo tempo per opera di un popolo acceso da fervore ed entusiasmo per l’onore di Dio. Tracce dell’antico tempio vennero trovate nel 1876, in seguito agli scavi praticati nell’interno della chiesa e nelle sue adiacenze.
Rammentiamo che questa chiesa di Naula, Pieve, o chiesa parrocchiale battesimale, serviva per la comunità di Naula, per Vintebbio, per Bornate e per Sostegno. Bornate aveva bensì chiesa propria e forse anche con proprio sacerdote, ma alle dipendenze di Naula.

 

La Chiesa, di stile romanico semplice che si può far risalire al secolo IX, ha tre navate, con tre absidi e volte a crociera, senza cordonatura, sorrette da pilastri. E’ tutta costruita con rottami di pietra spaccata dai monti vicini, mentre in cotto si vedono solo gli archetti e le lesene di poco rilievo che adornano le parti esterne dell’edificio.
La facciata che misura m. 13,50 di larghezza è totalmente ristorata e così male da renderla irriconoscibile: gli archetti che segnavano la pendenza del tetto sono tutti scomparsi e le paraste che dal suolo salgono alla sommità dividendo la fronte in tre scomparti, sono affatto nuove.
Nel centro, invece del solito occhio tondo vi è una bifora con archi a pieno centro, ma anch’essa mal ristorata. L’apertura d’entrata era di forma rettangolare e bassa con lunetta a basso fondo sopra l’architrave, ora gli stipiti e l’architrave monoliti di granito si conservano ancora, ma l’entrata è molto più alta, perché la lunetta fu sfondata e l’architrave antico fu portato sopra l’archivolto. Le altre aperture che mettono nella chiesa come i muri che si distendono a destra e a sinistra della fronte per dividere il cimitero antico dal nuovo, che sta ai fianchi e dietro la chiesa, sono di e poca molto posteriore.
Essendo la chiesa a tre navate, ed i muri della navata centrale superando di oltre due metri le navate laterali, ne veniva che queste erano coperte da due falde di tetto molto più basso del tetto a due pioventi della navata di mezzo; ora invece un tetto unico a due pioventi copre le tre navate, per cui sui muri della periferia a sostegno del tetto si dovettero innalzare pilastri che danno alla chiesa un aspetto di casa colonica, senza dire che in questo modo vennero acciecate le finestre feritoie che davano luce nella parte superiore della navata di mezzo.
Internamente le navate sono divise da tre pilastri per parte, formanti in tutto otto arcate, delle quali le due ultime presso l’abside hanno un’apertura d’arco uguale alla larghezza della navata maggiore, mentre le altre sei arcate sono uguali all’apertura d’arco delle navate minori.
I pilastri, composti di un nucleo quadrato da cui sporge una lesena per ciascun Iato, non hanno capitelli, ne modanature al punto d’appoggio dell’arco. Nelle pareti laterali di fronte ad ogni pilastro corrisponde una lesena uguale a quella dei pilastri. Tra le lesene poi come pure sopra ciascun arco e nelle absidi erano aperte finestre feritoie a forte sguancio interno esterno ad arco tondo.
Ora però sono tutte chiuse, meno una feritoia dell’abside centrale che fu ridotta finestra quadrata.
La lunghezza dell’asse maggiore della chiesa è di m. 20,50.”
Decorazioni e dipinti vari:
Tanto la facciata della chiesa che nell’interno le pareti, le volte, le absidi, i pilastri sono completamente intonacati e tinti. Tuttavia alcune pitture giunsero fino a noi, il che dimostra che S. Maria di Naula in origine era dipinta.
La più antica pittura è un “Cristo Nimbato” nella solita mandorla, seduto, in atto di benedire colla destra, mentre con la sinistra tiene un libro aperto, su cui sta scritto in caratteri romanici: Ego sum lux mundi – Via, Veritas et Vita, principium et finis.
D’intorno dovevano esservi altri dipinti che completavano l’abside, ma la mano inesorabile dell’imbianchino li ha fatti scomparire.
D’epoca più recente sono presso l’abside centrale un S. Antonio Abate ed un S. Bovone, anzi quest’ultimo ha la scritta: Benedictus de Imerico, Sanctus Bobus 1532.
Ed in abside laterale una Madonna con Bambino, con attorno la leggenda : “ Franciscus de Blasiis fecit fieri – Franciscus de Ongiano Pinxit“.
Su di un pilastro una Santa con una palma in mano e incoronata da un angelo: ai piedi vi sono due scudetti con blasoni indecifrabili.
I due piccoli altari appoggiati alle absidi laterali e quello grande isolato sotto l’abside maggiore sono di stucco, costruiti dopo la comparsa del barocco, e quindi hanno nulla di comune coll’edificio.

Bibliografia:
 – CHIERICI S., CITI D., Italia romanica: il Piemonte, la Valle d’Aosta, la Liguria, Jaca Book, Milano, 1979 (La chiesa è riferita a Piane Sesia che è frazione del comune di Serravalle Sesia)
– PIOLO don F., Storia del Comune di Serravalle Sesia, Stabilimento Grafico Fratelli Julini, Grignasco (NO), 1995
– AA.VV., La pieve di Santa Maria di Naula, a cura del Comitato per la valorizzazione, Serravalle Sesia, 1983
– ORDANO R., S. Maria di Naula, in “Boll. Storico Vercellese”, 36, 1991, pp.135-148.

Link: http://www.comune.serrravallesesia.vc.it

http://archeocarta.org/serravalle-sesia-vc-pieve-di-santa-maria-di-naula/

Fruibilità:
La chiesa è aperta in particolari occasioni: informazioni presso la Parrocchia di Vintebbio (tel. 0163.450241) o il Comune (tel. 0163.450102)

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 30/11/2012