PESARO. Museo Civico, Palazzo Mosca, pala d’altare con Sant’Antonio abate

Piazza Vincenzo Toschi Mosca, 29, 61100 Pesaro (PU)
Telefono: 0721 387474


Pala d’altare dipinta da Jacobello Del Fiore (1380-1439)
e raffigurante la Beata Michelina tra i Santi: Girolamo, Giacomo Maggiore, Pietro, Paolo, Antonio abate e Nicola di Bari.

La pala è proveniente dalla chiesa di San Francesco in Pesaro.

 

Fruibilità:
ORARI: Dal 1 ottobre al 31 maggio: da martedì a giovedì h 10 – 13; da venerdì a domenica e festivi h 10 – 13 / 15.30 – 18.30 – Dal 1 giugno al 30 settembre: da martedì a domenica h 10 – 13, 16.30- 19.30 -Lunedì chiuso.

Rilevatore: Bonello Valter

BASILIANO (Ud), fraz. di Villaorba. Chiesa di Sant’Orsola con affresco di sant’Antonio abate

La chiesa campestre di Sant’Orsola sorge nella campagna a nord dell’abitato di Villaorba, lungo la strada che conduce a Mereto di Tomba, a circa un chilometro dal paese.

 

Fu eretta nel 1338 per volere di Federico da Castello, ricco feudatario del luogo che lasciò un campo affinché fosse costruita una chiesa da dedicare alla Vergine o ad un altro Santo a seconda del parere del Patriarca. L’allora Patriarca Bertrando di San Genesio fu inequivocabile: “Si dedichi tale chiesa alla Vergine Maria”.
Il luogo della costruzione fu scelto appositamente per la presenza di imponenti ruderi e rovine in stato di abbandono, materiale risalente al I sec d. C..
L’abbondanza di materiale in parte giustifica il fatto che la costruzione ebbe una volumetria inspiegabile per una modesta chiesa di campagna, presentando addirittura una lunghezza di quasi 19 m e 8 m di larghezza, superando sicuramente le misure assai più modeste della chiesa di San Tommaso che si trovava in paese a Villaorba. Inoltre, l’estrema semplicità e linearità dell’edificio (senza coro, né portico, né sacrestia) fanno pensare che esso fu costruito in breve tempo.

Gli affreschi
Circa trent’anni dopo la costruzione della chiesa, si diede corso alla realizzazione di un ciclo di affreschi sulla parete sud e altri alla fine del 1300 sulla parete nord.
Gli affreschi della parete sud sono i meglio conservati, ma presentano anche i segni delle violente martellate subite per far aderire la calce usata per disinfettare il luogo in seguito alle numerose pestilenze, in particolare all’epidemia di peste del 1511 che seguì al devastante terremoto di quello stesso anno. In questa parete si può ammirare la figura di Sant’Antonio abate che con la mano protegge Federico da Castello e suo figlio Articone, raffigurati alla destra del Santo e altri santi riconoscibili o dalla dall’indicazione scritta o dalla simbologia che li accompagna. Questi affreschi presentano un tipo di pittura tardo gotica con forti accenti altoatesini, ma con un tipo di modellatura popolare assai in uso nelle terre settentrionali del Patriarcato di Aquileia.
Sulla parete nord si evidenzia in particolare la presenza di un affresco raffigurante la Madonna in trono alla maniera senese, di stile tardo gotico, con limitato cromatismo pittorico e con un ornato pressoché inesistente. Ai lati di questo affresco, collocato al centro della parete, si possono osservare la scena della Natività di Gesù, la visita dei Magi e figure di vari santi e profeti.

Ristrutturazione della facciata e apertura di una grande finestra sul lato sud verso l’anno 1520
Tra il 1520 e il 1530 tutta la facciata venne rimaneggiata e le due finestre furono ingrandite e riquadrate con stipiti in pietra e protette con robuste inferriate.
Il portale centrale fu arricchito con due pilastri in pietra portanti un’architrave con scolpito al centro un bassorilievo contenente un’immagine della Madonna in trono, con bambino sulle ginocchia; questa, per la somiglianza ad altre simili esistenti in zona, può essere attribuita alla mano di Giovanni Antonio Pilacorte o di qualche suo diretto allievo.
Passaggio dal vecchio titolo della chiesa di Santa Maria a quello di Sant’Orsola
Verso il 1500 la chiesa perse il titolo di originario di Santa Maria e assunse quello di Sant’Orsola; probabilmente ciò fu dovuto al fatto che attorno al 1530 apparve nell’edificio una tela dipinta alla fine del Quattrocento, da un pittore di scuola tedesca o austriaca, paesi dove il culto di Sant’Orsola e delle dieci compagne martiri era assai diffuso. La devozione verso questa Santa, invocata per ottenere una buona morte, divenne tale che, un po’ alla volta, l’edificio stesso incominciò ad essere chiamato chiesa di Sant’Orsola, dimenticando completamente la dedica originaria voluta dal patriarca Bertrando.

 

Bibliografia:
– A. TAM, Monumenti antichi della fede cristiana in Villaorba, Amm Comunale di Basiliano, 2000.
– C. MATIZ (a cura di), Chiesa campestre di Sant’Orsola a Villaorba, in http://www.picmediofriuli.it/enciclopedia/pdf/2.1.12.pdf

Rilevatore: Silvia Cattivello, Società Friulana di Archeologia onlus

Data ultima verifica sul campo: 02/01/2015

LESEGNO (Cn), fraz. Prata. Cappella di Santa Maria del Lucchinetto, affresco raff. Sant’ Antonio abate

La cappella cimiteriale di Santa Maria, detta “Madonna del Lucchinetto”, è nell’attuale Cimitero in frazione Prata, verso il comune di Niella Tanaro lungo la S.S. n. 28

Descrizione:

L’abitato di Lesegno è costituito da due nuclei importanti, situati uno di fronte all’altro sui rilievi della valle in cui scorre il torrente Mongia. Villa è la borgata dove ha sede il comune, le scuole, la parrocchiale ed il settecentesco castello. Prata è l’altra frazione, anch’essa di origini molto antiche.

La Chiesa ha pianta rettangolare, lunga circa 20 m, quindi più grande delle chiese all’epoca sparse nel contado.
L’interno è spoglio, intonacato con qualche piccolo frammento di pittura mal conservata, coperta con tetto a vista e conclusa da un’abside rotonda, che è la parte più antica dell’edificio, costruita con pietre squadrate in corsi ordinati in vista all’esterno. L’abside è voltata con un catino sferico e coperta di lastre di pietra; presenta tre finestre a feritoia con doppia strombatura. Il pavimento absidale rivela che il piano originario era molto più basso.
Nella parete meridionale sono murati tre archi ogivali in cotto che si impostano su pilastri poligonali immorsati nella parete con rustici capitelli di pietra che recano tracce di decorazione. Non vi è accordo tra gli studiosi sull’originaria funzione di questi archi: archi di ingresso, portici, o resti di una chiesa più grande.
All’interno restano frammenti di affreschi del XV secolo, forse in parte opera del pittore che affrescò anche il Santuario della Madonna dei boschi di Boves.

Nell’interno vi è un affresco di epoca non molto avanzata che raffigura Gesù deposto attorniato dalla Vergine, San Giovanni Battista, Sant’Antonio abate e una Pia Donna, come sfondo il Calvario.

Note storiche:
Nel X secolo risulta che il villaggio di Lesegno appartenesse alla contea di Andrate, posseduta dai marchesi di Susa. Passato al vescovo di Asti fu da questi ceduto ai marchesi di Ceva che vi ebbero giurisdizione fino al sec. XVII. Dopo alterne vicende venne eretto in marchesato nel 1790 ed assegnato a Cesare Gaspare, marchese di Ceva e di Lesegno.
Gravi danni subì durante l’occupazione spagnola del 1649 e più tardi nel 1796 per il saccheggio delle truppe napoleoniche.
La parrocchiale era la chiesa romanica detta “Madonna del Lucchinetto”, il cui nome deriva probabilmente da “lucus” bosco di castagni, che si presume risalga al X sec. Oggi si trova al centro del cimitero costruito nel 1822 in loc. Prata.
Negli Statuti di Lesegno la chiesa è citata nel 1302, ma è di costruzione anteriore essendo situata fra i borghi molto antichi delle Casette e della Prata. Quindi si presume risalga al secolo X poiché una cappella dedicata a Santa Maria è pure menzionata in un documento del 1013 nel quale il marchese di Susa, Olderico Manfredi, vendette il castello di Lesegno con le sue pertinenze, un ampio tenimento e due cappelle, dedicate l’una a S. Maria e l’altra aS. Nazario/Lazzaro (“cum tenimento, foxato circumdato, et capellas duos foris eodem castro recenter edificatas, innomine Sanctae Mariae et Sanctii Lazarii”), al prete Alfredo o Sigifredo. Però l’attuale chiesa presenta archi ogivaliche fanno ritenere che sia stata rimaneggiata nel XIII secolo.

Bibliografia:
– AA.VV., Il santuario della Madonna dei Boschi di Boves, Primalpe, CN, 2004
– RAINERI G., Antichi affreschi del Monregalese, vol.II, Rotary Club Mondovì, Mondovì CN, 1979
– BERTONE L., Arte nel Monregalese, L’Artistica Editrice, Savigliano CN, 2002

Link:

http://www.fungoceva.it/vallate_paesi/LESEGNOcimitero.htm

Fruibilità:

La cappella è visibile su prenotazione, rivolgendosi alla Parrocchia di Lesegno, tel. 0174.77036.

Rilevatore: Angela Crosta

Data ultima verifica sul campo:
14/03/2014.

CERTALDO (Fi). Chiesa dei Santi Tommaso e Prospero, affresco con sant’Antonio abate

Via Boccaccio – alla destra del palazzo Ducale o Pretorio

L’affresco sulla parete sinistra della Chiesa è una teoria di santi, dipinto del secolo XIV, di gusto popolare, ove vi sono ritratti molti santi tra cui Sant’Antonio Abate.

 

Materiale informativo ed illustrativo:
Una targa all’esterno.

Note storiche:
Le più antiche testimonianze di questa chiesa si trovano murate nell’edificio stesso e si tratta di due iscrizioni recanti le date 1215 e 1366.
Nel 1415, dopo che era stato costruito il palazzo Pretorio, ne divenne l’oratorio.
Nel XV secolo il patronato spettava alla famiglia Gianfigliazzi.
In seguito nel 1575, in occasione di una visita apostolica la chiesa ormai in precarie condizioni statiche: Quoad fabrica Ecclesiae minatur ruinam versus altare maius, unde indiget festina reparatione.
Nel 1589 risulterebbe che nella chiesa vi fosse già stato collocato il sepolcro di Giovanni Boccaccio e nel 1654, all’interno della chiesa, erano collocate altre sepolture.
Fin dal XVI secolo il terreno retrostante il fabbricato iniziò a smottare a valle, causando anche il successivo crollo dell’abside.
Nel XVIII secolo il borgo sorto nella piana sottostante era cresciuto di popolazione e nel 1757 il titolo di San Tommaso venne trasferito alla chiesa di Sant’Andrea a Certaldo; il 19 aprile 1788 la chiesa fu soppressa, sconsacrata e in seguito abbandonata per poi essere affittata ad un mercante di terraglie.
Nel 1898 la chiesa era usata come deposito di fascine ma nel 1903 venne acquistata dal comune di Certaldo che a sua volta la cedette al pievano.
Nel 1938 la casa canonica fu trasformata in un ristorante.
Nel 1946 la chiesa venne finalmente restaurata e nel 1962 gli affreschi tre-quattrocenteschi vennero consolidati. Oggi la chiesa viene usata come sede espositiva e come sala convegni.

Bibliografia:
 – Emanuele Repetti, Dizionario geografico, fisico, storico del Granducato di Toscana, Firenze, 1833-1846.
– Luigi Santoni, Raccolta di notizie storiche riguardanti le chiese dell’ Arci Diocesi di Firenze, Firenze, Tipografia Arcivescovile, 1847.
– Attilio Zuccagni-Orlandini, Indicatore topografico della Toscana Granducale, Firenze, Tipografia Polverini, 1857.
– Luigi del Moro, Atti per la conservazione dei monumenti della Toscana compiuti dal 1 luglio 1893 al 30 giugno 1894. Relazione a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione, Firenze, Tipografia Minori corrigendi, 1895.
– Guido Carocci, Opere d’arte e ricordi storici di Castelfiorentino e Certaldo, Miscellanea Storica della Valdelsa, 1895.
– Michele Cioni, Elenco di varie costruzioni monumentali in Valdelsa e notizie di pubblicazioni, Miscellanea Storica della Valdelsa, 1903.
– Michele Cioni, La Valdelsa: guida storico-artistica, Firenze, Lumachi, 1911.
– Mario Salmi, Architettura romanica in Toscana, Milano-Roma, Bestetti&Tumminelli, 1927.
– Italo Moretti, Renato Stopani, Chiese gotiche del contado fiorentino, Firenze, UPI, 1969.
– Italo Moretti, Renato Stopani, Architettura romanica religiosa nel contado fiorentino, Firenze, Salimbeni, 1974.
– Francesca Allegri, Massimo Tosi, Certaldo. Guida storico-artistica., Certaldo, Tipografia Nidiaci, 1978.
– AA. VV., Toscana paese per paese, Firenze, Bonechi, 1980.
– Renato Stopani, Storia e cultura della strada in Valdelsa nel medioevo, Poggibonsi, Centro Studi Romei, 1986.
– Renato Stopani, La Via Francigena. Una strada europea nell’Italia del medioevo, Firenze, Le Lettere, 1988.
– Vittorio Cirri, Giulio Villani, La Chiesa Fiorentina. Storia Arte Vita pastorale, Firenze, LEF, 1993.
– AA. VV., Chiese medievali della Valdelsa. I territori della via Francigena tra Firenze, Lucca e Volterra, Empoli, Editori dell’Acero, 1995, ISBN 88-86975-18-X.
– Marco Frati, Chiesa romaniche della campagna fiorentina. Pievi, abbazie e chiese rurali tra l’Arno e il Chianti, Empoli, Editori dell’Acero, 1997, ISBN 88-86975-10-4.
– Rosanna Caterina Proto Pisani, Anna Benvenuti Papi, Empoli, il Valdarno inferiore e la Valdelsa fiorentina, Volume 14 di I luoghi della fede, Milano, Mondadori, 1999, ISBN 88-04-46788-6.
– AA. VV., Firenze, Milano, Touring Club Italiano, 2001, ISBN 88-365-1932-6.
– Francesca Allegri, Massimo Tosi, Certaldo poesia del Medioevo, Certaldo, Federighi Editore, 2002, ISBN 88-900705-4-4.

Rilevatore: Valter Bonello

Data ultima verifica sul campo: 04/10/2014

 

ACI SANT ANTONIO (Ct). Chiesa di Sant’Antonio abate

Piazza Maggiore n.45 – Aci Sant’Antonio (Ct)  Telefono: 095.7891350
https://goo.gl/maps/RBjhjXPqoau9hS1R8

 

La primitiva Chiesa di Sant’Antonio, venne elevata a sacramentale da mons. Nicolò Caracciolo nel 1566.
Con l’accresciuto benessere e con l’aumento della popolazione il borgo formatosi intorno alla chiesa di S. Antonio abate poté gareggiare con quelli vicini per prosperità e prestigio.
Nelle linee attuali la Chiesa è formata da un corpo longitudinale diviso in tre navate da un doppio archeggiato che sorregge la sopraelevazione muraria su cui poggia il soffitto rialzato della navata centrale. Le due file di pilastri si arrestano incontrando il transetto, in modo da aversi un tipico esempio di pianta “a croce latina” chiamata anche “croce comissa o patibulata” per lo sporgersi del transetto.
Prima di entrare nel tempio, si può ammirare il prospetto  opera dell’architetto Carmelo Battaglia da Catania. Il prospetto è diviso in due ordini e presenta delle semicolonne accordate da timpani – triangolare il primo, leggermente arcuato il secondo – culminato nello slancio moderato del campanile.
Il timpano triangolare che sovrasta la porta centrale è fiancheggiato da due semitimpani interrotti, recanti sulla loro linea inclinata due puttini in instabile equilibrio. Il secondo timpano ripara la nicchia che accoglie la statua del Santo, a sua volta fiancheggiata da lesene sormontate da capitelli dello stesso stile.
Ancora due lesene più brevi fiancheggiano l’arcuata finestra del breve campanile. Lo slancio quindi, partendo dalla zona inferiore, si esaurisce verso l’alto.
Una lapide di marmo con sue fasce ed iscrizioni” sovrasta la porta maggiore, e in cui si legge: D.O.M. DIVO ANTONIO ABBATI PATRONO CIVES.
Dunque nel 1797 il prospetto aveva assunto l’aspetto attuale.
L’interno della Chiesa rivela architettonicamente una solida coordinazione delle singole parti conformemente con tipica disposizione della pianta a croce latina. Il presbiterio è arricchito da un coro ligneo e da affreschi di Paolo e Alessandro Vasta alle pareti e nel catino.

Le navate minori terminano, oltre il transetto, a destra con la Cappella dedicata al Santo Patrono e a sinistra con quella al SS. Sacramento. Lo stesso Transetto trova un prolungamento nelle Cappelle del Crocifisso e di S. Giuseppe.
La prima coppia di arcate che scandiscono le navate sostiene la cantoria nella quale si trova un antico organo che è carico non solo di anni ma anche di firme di cantori e di visitatori.
Nella navata di sinistra, dopo la porta che immette nella casa canonica, si trova un piccolo altare sormontato da un quadro di buona fattura raffigurante l‘istituzione dell’Eucaristia.  Esso risale al 1759 e porta in alto la didascalia tratta dal Vangelo di Luca “accepto pane, gratias egit”. Intorno alla tavola che è al centro della scena stanno le figure di Cristo e degli apostoli, mentre Giuda dallo sguardo sfuggente è rivolto invece verso l’osservatore. In primo piano un coppiere verso del vino, su un altro piano un angelo adorante. Nonostante l’antichità del dipinto, risaltano ancora i rossi drappeggi del manto di alcuni apostoli e la tinta cinerina della tovaglia che copre la mensa. E’ evidente l’influsso del barocco nella angolazione della prospettiva, nell’enfasi delle pose e nella maniera di fissare gli atteggiamenti.
Subito dopo l’altare descritto, si apre la Cappella dell’Immacolata che si innalza su una irregolare pianta ottagonale le cui sfaccettature sono delineate da semicolonne; una cupola dalle lievi ed aggraziate decorazioni in stucco corona l’insieme. La parete centrale della Cappella è occupata da un dipinto che sappiamo opera dello Sciuto eseguito nel 1789. La Vergine vi è raffigurata alla maniera convenzionale, in manto azzurro e con ai piedi la luna; le tinte sono vivaci e le forme poco articolate. A coronamento si legge una espressione celebrativa tratta dal Libro della Sapienza: “Nondum erant abissi et ego jam concepta eram”.
A sinistra del dipinto, in una piccola nicchia, l’immagine della Madonna pellegrina di delicata fattura settecentesca, cui i fedeli, come si legge, hanno dedicato “promesse d’amore” a conclusione della visita dell’immagine stessa nelle loro dimore tra gli anni 1954-1956.
A destra ancora una candida statua dell’Immacolata in una nicchia rivestita di pietra lavica risalente al tempo in cui era Parroco il sac. Salvatore Leotta, e cioè tra gli anni 1928-32.
Va aggiunto che sull’altare, sottostanti il dipinto dello Sciuto si trovano quattro reliquiari lignei, preziosi esemplari di arte acese, il cui colore aureo è dato dalla famosa “mistura d’argento”. Le reliquie sono racchiuse in ovali circondati da volute auree e sormontati da una pseudo-corona da cui si dipartono delle foglie parimenti auree e dei fiori colorati con sfumature cinerine, rosse e azzurre. Della stessa fattura pare sia la porticina a tamburo del tabernacolo, forma che si ripete nell’altare del SS.mo Sacramento e che è caratteristica esclusivamente della zona acese, perché altrove è a battente.
La porticina riporta incisi e poi dorati, probabilmente con la stessa mistura, motivi geometrici con al centro la consueta raffigurazione simbolica dell’agnello; il tutto superiormente coronato da un drappeggio.
Ritornando nella navata, si incontra subito l’altare dedicato alla Vergine del Carmelo, celebrata in un quadro sistemato nella consueta inquadratura architettonica. La Vergine, superiormente esaltata come “Decor Carmeli”, assisa su nubi e circondata da Angeli, porge l’antico scapolare al fondatore dell’Ordine carmelitano S. Simone Stock. Attorno a Lei il Profeta Elia, un altro personaggio non bene identificabile, S. Teresa d’Avila ed altri aggregati all’Ordine; in basso le anime purganti, tra fiamme in verità poco terrificanti, attendono per intercessione della Vergine e dei santi carmelitani la liberazione.
La fede dei cittadini ha voluto sovrapporre al dipinto, in corrispondenza del capo della Vergine e del piccolo Gesù, delle corone argentee; una stella anch’essa argentea brilla sul manto di Maria. Sull’altare ancora quattro reliquiari lignei con al centro un piccolo ovale circondato da volute simili a lingue di fuoco incrociantesi. L’effetto e l’esecuzione sono inferiori a quelli della Cappella dell’Immacolata; la tinta aurea è più pallida e fa pensare ad una variante della detta mistura acese. Nella navata destra la disposizione degli altari è analoga a quella di sinistra; in corrispondenza però della Cappella dell’Immacolata si apre la porta laterale del tempio sormontata, come altrove si è detto, dalla scritta: “Acis Superioris Principium et Nomen”.
Di fronte all’altare dell’Eucaristia sta, in analoga architettura l’altare dedicato as SS. Pietro e Paolo con quadro dello Sciuto sormontato della scritta “Principes vincti sunt pariter”. Le figure degli apostoli, sormontate da un angelo con la doppia palma del martirio, recano in mano rispettivamente i consueti simboli delle chiavi e del libro delle lettere, e sono costruite su due diagonali incrociantesi trasversalmente; qui fa da base ideale la Spada di Paolo sul pavimento. Anche questo dipinto rivela predilezione per i toni accesi e per le forme un po’ gonfie. Accanto all’altare, tra esso e la porta frontale minore, l’imponente battistero che risale al 1613.
Oltre la porta laterale, di fronte all’altare della Madonna del Carmine, vi è quello della Madonna del Rosario. La Madonna è rappresentata in un dipinto di buona fattura ma di autore ignoto, circondata da S. Domenico, S. Rosa da Viterbo e S. Vincenzo Ferreri; intorno alle figure si notano, compresi entro medaglioni, i misteri del Rosario addirittura miniati entro il piccolo riquadro dell’ovale. Delicati i colori buona la composizione delle figure che sembrano rifarsi alla scuola del Vasta, al pari del dipinto raffigurante la Vergine del Carmelo. Sull’altare ancora quattro reliquiari in tutto uguali a quelli che ornano l’altare opposto della navata di sinistra.
La navata centrale, ampia e luminosa, presenta lungo le arcate ed i pilastri decorazioni pittoriche che ripetono quelle del coro ed è impreziosita dal pulpito. Il pulpito ligneo, risalente al 1725, ormai ha soltanto una funzione ornamentale e decorativa; ha la forma di un’acquasantiera, a decorazione imitante il marmo e con ricchi fregi aurei. Dal tetto pende la colomba che simboleggia lo Spirito Santo ed in un riquadro ovale posto frontalmente si notano i simboli del Santo Patrono. Le decorazioni della navata centrale e delle navate laterali e gli stucchi che incorniciano dette decorazioni sono opera del signor Nunzio Bella e figlio, da Acireale, e sono stati allestiti nell’anno 1965 in occasione del rifacimento decorativo-pittorico delle tre navate.
Cappella dell’Immacolata
Molto importante dal punto di vista artistico e storico è il transetto. Nel rimuovere la pavimentazione, circa mezzo secolo fa, è venuta alla luce una zona cava sottostante adibita in passato alla luce sepoltura dei fedeli defunti. Essa oltre che in corrispondenza delle Cappelle del transetto si estendeva anche verso la zona centrale sovrastata dalla cupola.
La cupola che accentra ed esalta la spazialità dell’interno fu costruita nel maggio del 1774 da Giuseppe Costantino di Catania. Essa è sottolineata da motivi decorativi che richiamano gli affreschi del coro e si estendono ai pilastri e alle arcate, mentre le aperture delle finestre alleggeriscono il volume.
Agli angoli della cupola si accampano quattro figure allegoriche  femminili che il Raciti ed il Nicotra hanno attribuito a Michele Vecchio, autore anche del S. Sebastiano di Acireale nella omonima basilica, datando l’opera intorno al 1777. Gli affreschi raffigurano le virtù teologali, cui è aggiunta la Temperanza che doma le passioni, simboleggiate dal mostro, ed assomma le virtù, simili a gemme equilibrate su una bilancia. Secondo taluni, il quarto affresco raffigura la Prudenza, detta da S. Tommaso “auriga virtutum”.
Il transetto è coronato a sinistra dalla Cappella del Crocifisso e a destra da quella dedicata a S. Giuseppe, entrambe innalzantesi su irregolare pianta ottagonale. Nella Cappella del Crocifisso un Cristo in croce guarda il bellissimo altare di marmo intarsiato con decorazioni floreali, ugualmente marmoree in bianco-rosate su fondo nero; pregevoli due puttini in marmo, posti sulla parte superiore dell’altare, recanti la lancia e la spugna, opera del maestro Melchiore Greco nel 1782. Lungo le pareti della cappella si notano due dipinti, opera piuttosto recente del pittore acese Francesco Patanè, raffiguranti un perplesso S. Pietro col gallo e un ispirato S. Antonio Abate tentato dai demoni. Seguono a sinistra una nicchia ospitante la statua dell’Ecce Homo e a destra, in arcosolio, un Cristo morto, in legno, di piccole dimensioni, ma molto espressivo. Le ultime due figure poste lateralmente al Crocifisso sono le più interessanti. Sono le figure di S. Giovanni evangelista e Maria Maddalena da un lato e dell’Addolorata dall’altro. Le figure sono molto ben costruite, armoniosi e leggeri i colori pur nel fondo reso oscuro dal tempo, moderatamente enfatici i drappeggi e dolorosamente espressivi i volti. Da notare che la Cappella non aveva in origine la stessa forma ottagonale attuale, ma era quadrata. Lo attesta ancora il vano posto dietro il quadro dell’Addolorata. Risulta inoltre che dietro una parete di mattoni a coltello si trovano delle antiche pitture di non si sa quale valore. Il suo aspetto poligonale è evidenziato oggi dal rosso cupo delle pareti, alleggerito dagli stucchi rifiniti in oro zecchino convergenti nella cupola al cui centro si trova la raffigurazione simbolica dell’Agnello.
La Cappella di S. Giuseppe ha un aspetto meno curato; al centro, sotto il dipinto celebrante la Sacra Famiglia, un altare policromo con agli angoli volti di angeli in marmo bianco che sembrano rifarsi allo stile miniaturistico della balaustra dell’altare maggiore. Molto originale la parte superiore dell’altare in  legno dorato digradante verso la parete con quattro gradini ornati, nella parete frontale, con fregi floreali a rilievo e decorati in oro zecchino. Al centro di essi i simboli del Santo Patrono: la T, abbreviazione di Taumaturgo, oppure, come si legge in una antica immagine, dell’appellativo di “Terror Averni”; il FUOCO, che sia quello che il Santo ha più volte scongiurato dalla città, sia la malattia che prende il nome di “fuoco di S. Antonio”, per la quale si invoca il suo patrocinio; la CAMPANA, appendice del pastorale, e la MITRIA, simbolo della dignità ecclesiastica (Abate).
Il dipinto che corona l’altare raffigura S. Giuseppe in seno alla Sacra Famiglia e comprende anche la SS. Trinità in ordine ascendente. E’ di autore ignoto come gli altri due quadri alle pareti laterali celebranti con forme alquanto gonfie e di ingenua esecuzione la Natività e l’Adorazione dei Magi. La volta della Cappella è stata dipinta nel 1921 dal pittore Rosario Scavo di Aci S. Antonio che ha voluto raffigurarvi la gloria di S. Giuseppe patrono della Chiesa universale. Infatti, nella parete centrale, sullo sfondo, è dipinta la basilica si S. Pietro.
Il Cappellone e i Cappellonetti
Le due cappelle in corrispondenza delle navate minori – oltre il transetto – sono dedicate al Santo Patrono e al SS.mo Sacramento. La Cappella di S. Antonio abate è a pianta quadrata sormontata da una cupoletta con quattro riquadri pittorici entro cui sono raffigurati angeli recanti i consueti simboli del Santo; agli angoli delicate decorazioni floreali che si ritrovano all’interno dell’arco sovrastante la cancellata d’ingresso in ferro battuto; al centro della cupola una grande T.
Immediatamente in alto, a sinistra, entro un arco che confina con la cupola, ecco un’opera attribuita all’acese Pietro Paolo Vasta che Lionardo Vigo considera come il più grande pittore siciliano del secolo XVIII. Alunno di Antonio Filocamo e ideale discepolo di Giacinto Platania, Paolo Vasta si perfezionò a Roma alla scuola di Luigi Garzi, divenendo a sua volta maestro del celebre Vito D’Anna, nonché fondatore di una scuola pittorica che da lui prese il nome di “vastesca” e che molto operò, assieme al maestro, nella zona acese. A lui il Raciti riconosce il merito di avere reso monumentali con i suoi preziosi affreschi le chiese di S. Sebastiano, dei Crociferi, di S. Maria del Suffraggio, di S. Antonino e della Cattedrale di Acireale. E’ il Nicotra che attribuisce a Paolo Vasta l’affresco che trovasi sulla nicchia che accoglie la statua del Patrono, raffigurante la sepoltura di S. Paolo eremita. Il vecchio Santo, visibilmente prossimo alla morte, è sorretto da alcuni angeli, mentre S. Antonio osserva assorto due leoni che – in primo piano – si accingono a scavare una fossa per l’Eremita morente; sulla scena aleggia un senso di pietà, di pacata accettazione della morte ed una grande serenità. “Questo affresco che ha molto sentimento ed anche originalità, rimase coperto per un certo tempo con un intonaco a calcina e venne rimesso alla luce solo pochi anni or sono in occasione di restauri nella Cappella” come conferma il Nicotra che scriveva nel 1905.
La statua del Santo Patrono custodita nella nicchia, probabilmente di data anteriore alla costruzione della Chiesa, dovrebbe essere quella  stessa della quale si parla nel privilegio concesso nel 1563 dal Vicario Anzalone. Nessun documento infatti riporta mandati di pagamento per l’acquisto o la esecuzione del simulacro del santo, mentre si hanno documentate notizie per il fercolo che doveva accoglierlo. Neppure la tradizione orale tramanda alcunché a riguardo ed è possibile e probabile che la statua abbia superato indenne la rovina del terremoto del 1693. La statua è confezionata con materiale composto di sacco e gesso, come si può facilmente constatare. Solo la testa e le mani, nonché un sostegno interno, solo di legno, ma risultano ben fusi con il vestimento dal pluviale azzurro che nasconde sotto una vernice dorata dalle decorazioni damascate l’umiltà della sua composizione. Ancora più antica sembra la base di legno su cui poggia il santo, decorata con figure chiare a bassorilievo di stile orientaleggiante e risaltanti sul fondo nero. Fra dei puttini un inatteso centauro, raffigurazione pagana simboleggiante le tentazioni; sulla base sono fissate altre due figure, un puttino in legno di fattura posteriore ed un piccolo S. Macario, discepolo del Santo.

Di sicura datazione, e cioè del 1789, è il cosiddetto “miracolo del pane” che riveste il pannello scorrevole che chiude la cappellina. E’ opera dello Sciuto, e raffigura il Santo nel consueto atteggiamento pensoso ed assorto, S. Paolo Eremita con un atteggiamento più deciso e indicante un corvo che reca due pani. I colori sono pacati, sfumato lo sfondo, leggere movenze.

L’altare di marmo policromo, costruito nel 1843, è continuato in alto da un riquadro marmoreo che si appoggia alla parete ed accoglie il quadro del pittore messinese Michele Panebianco, raffigurante il Santo Patrono; come ammette il Raciti, è un’opera pregevole e sembra più miniatura che pittura. Il Santo vi è ritratto in atteggiamento estatico e adorante dinanzi all’occhio di Dio, su uno sfondo paesaggistico egiziano; la esecuzione è del 1842 e rivela una attenta cura dei particolari.

Torniamo alla descrizione della chiesa e precisamente della navata centrale. Essa è continuata oltre il transetto dall’abside o “Cappellone” che si innalza di alcuni gradini sul piano della navata: questo è introdotto da una balaustra in marmo dai colori assortiti e bene armonizzati nelle varie decorazioni a bassorilievo; essa risulta allestita nel 1784 da ignoto maestro. La circonferenza dell’abside è arricchita da un coro ligneo con doppia fila di sedili, opera del maestro Ignazio Patanè e il cui completamento si ebbe solo nel 1789. Il coro è abbellito da opera pittorica dello stesso pittore Sciuto che eseguì i quadri dell’Immacolata, dei SS: Pietro e Paolo ed il pannello davanti alla nicchia del Santo. Per gran parte dell’anno sull’altare maggiore troneggia un ricco dossello di velluto di pregevole fattura, eseguito nel 1786. All’interno dell’arcata in corrispondenza della balaustra si legge in caratteri arabi arcaici la data 1753, la stessa che è ripetuta alla fine della iscrizione assecondante il perimetro della abside. Vi si legge: “ACENSIS POPULUS MAGNO DIVOQUE PATRONO ANTONIO ABBATI DICAVIT PICTURAE VENUSTATE ORNAVIT (anno 1753)”.
E veniamo agli affreschi che sovrastano gli scanni del coro. Su quello di destra l’autore ha così sottoscritto la propria opera: “Vasta P”. Nel tempo si è voluto interpretare la “P”. come abbreviazione di PINXIT, e in tal caso persisterebbe l’incertezza dell’attribuzione degli affreschi a Paolo o al figlio Alessandro.
La Chiesa Madre di Aci Sant’Antonio può quindi a ragione gloriarsi per aver affidato ai più illustri pennelli siciliani del secolo XVIII le lodi del Santo cui è dedicata.

Ed ora passiamo ad osservare più attentamente gli affreschi, confortati dalla certezza della loro paternità, malgrado alcuni restauri fatti da Giuseppe Spina.
L’affresco di destra raffigura l’approdo del Santo, in groppa ad un drago alato, sulle rive di un paese non identificabile. Il cielo ha tenui colori che digradano dal rosa pallido all’azzurro, venato di candide nuvole; sullo sfondo delle colline ondulate; in alto una costruzione orientale; esotica la foggia dei copricapo di alcuni personaggi. Manca il cane che la tradizione vuole sempre presente nelle opere del Vasta; é presente il cavallo posto nella posizione degli altri suoi dipinti. L’affresco è accompagnato sino al limite della parete da decorazioni varie con conchiglie e volute comprese entro i riquadri allungati, motivi decorativi che sono ripetuti sulla parete opposta e posteriormente ripresi lungo i pilastri che sostengono le arcate divisorie delle navate.
L’affresco di sinistra rappresenta un miracolo che Sant’Antonio avrebbe operato nel deserto: avrebbe fatto scaturire dell’acqua per dissetare la gente. L’episodio vuole paragonare Sant’Antonio a Mosè e, come accenna l’iscrizione che vi si intravede, vuole esaltare la potenza che la preghiera del Santo ha presso Dio.
L’affresco della  volta raffigurante la gloria del Santo sembra aver offerto all’artista lo spunto per esaltare anche le sante vergini siciliane, S. Rosalia, S. Agata, S. Lucia e S. Venera, che stanno insieme alla destra del Santo il quale veste il piviale azzurro, mentre un angelo gli sorregge il pastorale. Più alto a destra ancora un gruppo di santi: S. Caterina da Siena, S. Francesco d’Assisi, S. Domenico, S. Ignazio; la loro raffigurazione è stata forse ispirata dalla esistenza in Acireale di conventi di frati francescani, domenicani, e gesuiti. Al centro la Vergine Maria addita il Santo; accanto la raffigurazione in senso orizzontale della Trinità. Questa ricca assemblea paradisiaca asseconda la linea della volta con moto quasi concentrico intorno al Santo che dal suo angolo sembra ascendere continuamente verso l’alto, mentre vari angeli rendono leggiadra la composizione dell’insieme, equilibrando la disposizione dei gruppi. Anche i colori leggermente più accesi, ma sempre discreti, sembrano partecipare alla festosità della glorificazione.
Alla sinistra del Cappellone si apre, in continuazione della navata minore, la Cappella del SS.mo Sacramento, cui i restauri del 1931 hanno conferito una certa opulenza. Sempre nel 1792 i maestri Mario Bella e Ignazio Ganzirri elaborarono il tabernacolo in legno e nella stessa epoca il maestro Alfio Serano allestì la porticina d’argento.
(dal libro di Mons. Michele Messina “Notizie storiche su Aci S. Antonio”)

 

Il 17 gennaio si celebra la festa  portando in processione la statua del Santo.

 

Link: http://www.parrocchia-acisantantonio.it/

Rilevatore: Feliciano Della Mora

Data ultima verifica sul campo: 22/10/2015