Conosciuta per i suoi splendidi mosaici, la Chiesa di S. Maria della Croce, nota anche come Chiesa di “Casaranello“, rappresenta uno dei monumenti più antichi della Puglia. Essa, inoltre, è un punto di riferimento per lo studio delle decorazioni musive nelle chiese paleocristiane e trova confronti con la Grecia (Salonicco) e l’Italia bizantina.
Oltre alla raffinata qualità decorativa dei suoi mosaici, la Chiesa di “Casaranello” è rinomata per le sue pitture bizantine ascrivibili ad un periodo compreso tra il X e il XII secolo e per i cicli decorativi, realizzati in piena temperie tardo-sveva (metà XIII secolo). Altre decorazioni sono state realizzate nel tardo medioevo, epoca che coincide con alcune trasformazioni architettoniche. L’età post-medievale, infine, ha lasciato traccia in alcuni dipinti di fattura popolare.
Controversa risulta essere la questione delle origini del sacro edificio oggi intitolato a “Santa Maria della Croce”, chiamata volgarmente di Casaranello. Ubicata nell’antico insediamento romano di Casarano parvum, denominazione riscontrata nei registri di cancelleria Angioina, al fine di distinguerlo dal feudo di Casarano magnum. Erano questi due feudi separati con due parroci, ma uniti dal punto di vista amministrativo.
La chiesa vanta origini antichissime ascrivibili ad una datazione che oscilla tra V-VI secolo. Incerta inoltre anche la funzione originaria. Non essendo un martyrium, poteva svolgere la funzione di chiesa battesimale, cioè uno dei complessi realizzati per venire incontro alle esigenze della popolazione rurale.
Non abbiamo tracce decorative riferibili ai secoli altomedievali, anzi è dubbia la frequentazione della chiesa in quella fase. Dobbiamo spostare l’attenzione al X secolo per riscontrare ulteriori decorazioni: di questo secolo infatti sono i primi affreschi, con iscrizioni greche e in puro stile bizantino. Dal pieno medioevo sino alla fine del XIV secolo, la chiesa di Casaranello continua a svolgere un ruolo emimente nel segmento meridionale della Terra d’Otranto, prova ne sia la decorazione spesso rinnovata e aggiornata alle più moderne tendenze stilistiche ed iconografiche; il sacro edificio infatti ospiterà almeno un ciclo per secolo.
Nella fase bassomedievale subì modifiche architettoniche, sicuramente in facciata, mentre con la prima metà del XVI secolo il tempio fu interessato da un nuovo ciclo decorativo, di fattura più popolare.
Edificata con blocchi cavati ad hoc, senza conci di riutilizzo, la chiesa esibisce oggi una facciata dilatata in ampiezza, animata dalla presenza di una sola porta d’accesso lunettata e un piccolo rosone scolpito in asse, di datazione tardomedievale; ai lati, in corrispondenza delle navate laterali, si aprono due finestre di forma rettangolare. Sulle due estremità laterali, in alto, come se fossero degli acroteri, sono poste le statue di Santa Lucia e Santa Caterina.
La chiesa consta di un ulteriore ingresso sul lato nord, mentre sull’ala meridionale del transetto, stranamente rientrato rispetto alle navatelle laterali, spicca il campaniletto a vela, elementi entrambi frutto di successive modifiche.
L’interno presenta un impianto a tre navate divise da pilastri raccordati a sua volta da ampie arcate. Un transetto non aggettante lateralmente e in altezza introduce, precedendo verso est, al presbiterio e all’unica abside, decisamente aggettante e di impianto rettangolare.
I mosaici rappresentano una pellicola smagliante che rivestono la cupola, la volta a botte del bema e l’abside. Assieme a quelli del battistero di Canosa, del complesso di San Giusto a Lucera e del battistero della cattedrale di Siponto rappresentano una delle decorazioni musive più antiche della regione. Ad oggi rappresenta l’unico mosaico parietale tardo-antico conservato dell’antica Calabria.
Di datazione incerta, il mosaico è legato alle origini del monumento e pertanto oscillante tra il V e il VI secolo.
Sulla parete di fondo dell’abside, si intravedono ancora oggi, in alto al centro, una porzione di nimbo rosso su fondo celeste: doveva essere riprodotta, probabilmente, una Madonna con Bambino stante o in trono, come in altri esempi già presenti in Puglia a Canosa (fine V-prima metà VI secolo) e nella cattedrale di Trani originaria dove la Madonna con Bambino è affiancata da due Magi offerenti.
Nella volta a botte del bema, il tappeto musivo sopravvissuto dà vita a splendide cromìe, risaltato da cornici multiple che si intrecciano nei due riquadri simmetrici che ospitano motivi di natura zoomorfa e fitomorfa, non sempre di immediata identità.
La cupola è dominata da una volta stellata al centro della quale galleggia una croce di tessere d’oro, con racemi che si inalveolano sinuosi su un fondo bianco nei pennacchi, è pervaso da una luce azzurrina, la tonalità predominante.
Il più antico ciclo decorativo risale alla fine del X secolo, sulla base di confronti convincenti con alcuni affreschi, in parte datati (per esempio quelli di Carpignano Salentino, del 959 e 1020).
Proprio alcune iscrizioni sono incise sull’affresco eseguito sull’ultimo pilastro di sinistra della navata centrale, dove è campita una Vergine con Bambino. L’affresco è intriso di ieraticità e rappresenta una delle massime espressioni della pittura bizantina, con i caratteri di aspazialità ed atemporalità, con la benedizione del Bambino alla greca. I due Protagonisti sono allineati: la Vergine ostenta il Figlio come se fosse una teca e non avesse peso.
Sul pilastro frontale, ovvero l’ultimo a destra, è affrescata Santa Barbara, come ci ricorda l’iscrizione esegetica. Appartenente allo stesso ciclo, ma probabilmente da attribuire ad una mano diversa rispetto all’affresco precedente, Santa Barbara indossa, come di consueto, sontuose vesti bizantine, con vistosi orecchini semilunati di modello bizantino anch’essi: colpisce il volto, costruito con lievi pennellate, e con lumeggiature sapientemente distribuite a segnarne i tratti salienti.
Allo stesso ciclo dovrebbe appartenere il dittico absidale sulla sinistra, di recente identificato. Sono santi ambedue accompagnati da iscrizioni votive in greco fatte realizzare dai committenti Giorgio e Demetrio: il santo a sinistra è un vescovo e dovrebbe essere identificato quale san Nicola. Per il santo martire accanto al vescovo dell’abside, i confronti vanno estesi a comprendere la bella figura, acefala, del santo martire raffigurato sulla parete destra della chiesa di S. Pietro a Giuliano di Lecce. Potrebbe trattarsi di san Demetrio, constatate le lettere superstiti dell’iscrizione esegetica. Sotto questo strato pittorico, è forse visibile un ciclo più antico, probabilmente da ascrivere al secolo precedente.
Alla stessa epoca risalirebbero anche le tracce pittoriche affrescate sui primi due pilastri rivolti verso la navata centrale: il santo riprodotto a sinistra dovrebbe essere Michele, ritratto con le sembianze di archistrategos, mentre stringe il labaro e indossa il loros; frontalmente, poche ed evanescenti tracce, forse San Gabriele. In controfacciata infine, sulla sinistra, una santa con il pane, probabilmente Santa Parasceve, sulla scorta di confronti effettuati con altre pitture bizantine.
Il rinnovamento continuo della decorazione pittorica, eseguito talvolta a poche decine di anni di distanza fra loro, via via aggiornato alle più nuove tendenze stilistiche e iconografiche, sottolinea il ruolo della chiesa come una sorta di paradigma, e insieme antologia, della pittura medievale in Terra d’Otranto.
Al pieno XII secolo, si situa un’ulteriore campagna decorativa che interessò le pareti della navata centrale, ove sono campite alcune immagini cristologiche. Colpisce il fatto che il susseguirsi delle scene superstiti, ovvero quattro scene appartenenti al ciclo della Passione, non rispetti la sequenza da destra verso sinistra, poiché le prime scene sono ubicate sulla parete sinistra della navata centrale, in senso antiorario, proseguendo sulla parete destra, e cioè La Crocefissione e Il Bacio di Giuda a sinistra, e poi probabilmente Le Pie donne al sepolcro, prima scena, poco leggibile, a destra cui segue una monumentale e scenografica Anastasis, di cui si intravedono a destra Salomone e Davide sotto una specie di tenda e, a sinistra, i progenitori. Gli spazi vuoti e le dimensioni delle scene superstiti fanno ipotizzare che il ciclo fosse articolato in dodici scene, il classico ciclo del dodekaorton.
In seguito ai recenti restauri, è ben chiaro come al ciclo cristologico bizantino si sia sovrapposto il celebre ciclo tardo svevo, che narra per immagini il martirio delle Sante Caterina e Margherita, particolarmente venerate in quest’epoca. Probabilmente nello stesso tempo in cui il frescante svevo dipingeva le storie di queste sante, un secondo artista si occupava della nuova decorazione dell’abside, sovrapponendo alle figure dei due santi bizantini poste a sinistra, un ulteriore strato, il terzo, cioè il grande pannello, ora staccato e posto sulla parete perimetrale della navata destra, in cui è raffigurata una Deisis, nella quale si colgono alcune varianti.
Sotto il profilo iconografico questa immagine rappresenta una summa di varianti alla Deisis tipo, dalla sostituzione del Battista con un altro santo, giovane e imberbe, forse Giovanni Evangelista, allo stesso Cristo, non in piedi bensì seduto in trono, e ancora all’inserimento di un quarto personaggio, una santa con una croce in mano, la cui presenza concorre a squilibrare l’originario ductus ternario della composizione. Evidentemente si tratta di una santa che godeva di particolare venerazione in questa chiesa.
Sulla navata destra, in prossimità dell’apertura che immette alla sacrestia, è posto il pannello pensile della Vergine con Bambino, un tempo sito sull’altare maggiore. Apparterrebbe alla serie pugliese di icone bizantineggianti non anteriori al tardo Trecento, ma la presenza di ridipinture rende non agevole la datazione che appare tuttavia probabile. La Vergine dona un fiore al Bambino, ma colpiscono gli occhi della Protagonista, pieni di malinconia e tristezza. In basso, a destra, il committente in atteggiamento orante.
L’affresco di Urbano V copriva un tempo quello di Santa Barbara ed è oggi pensile sulla navata destra. Il pontefice è assiso in torno, come mostra il piviale che, rialzato dai polsi, ricade ai lati e poi risale bruscamente per sovrapporsi alle ginocchia. Del trono non si vede che il baldacchino cuspidato, aperto da un arco decisamente acuto, a lobi intrecciati, di carattere tardo-gotico. Fra l’estradosso dell’arco e i pioventi della cuspide il pittore volle imitare un tessellato di tipo vagamente cosmatesco. L’identità del santo viene corroborata dalla presenza delle teste dei Santi Pietro e Paolo, su un vassoio.
Nel ‘500 la chiesa si arricchisce di nuove pitture. Un tempo posto nell’intradosso della prima arcata a destra e oggi ubicato come pannello pensile in controfacciata è l’affresco di San Bernardino da Siena, santo francescano la cui presenza è attestata a Nardò nel 1433.
La chiesa ospita un altro piccolo dittico che oggi si trova sulla navata destra e datato precisamente al 1538. Si tratta dei Santi Eligio e Antonio Abate, raffigurati entrambi con la consueta iconografia, ovvero il primo con gli abiti vescovili e gli attrezzi da fabbro con animali “da ferrare”, mentre il secondo con abiti monacali mentre si appoggia al bastone “a tau”, con in basso un piccolo suino. Allo stesso ciclo appartiene il frammento del santo francescano posto in controfacciata, Sant’Antonio o San Francesco.
Un dipinto palinsesto del 1643 è inoltre visibile sulla navata sinistra, raffigurante una Madonna con Bambino, di chiara fattura popolare ma che ricorda il modello della Galaktotrophousa.
Links:
http://www.casaranello.it
https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_Santa_Maria_della_Croce_(Casarano)
https://www.comune.casarano.le.it/casarano/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/12